Nel periodo delle feste natalizie, si sa, la voracità consumistica raggiunge il suo apice; c’è chi sceglie – più o meno consapevolmente – di assecondarla, e chi invece la rifiuta. Esiste però una cosa della retorica del Natale di cui sembra più difficile liberarsi: il dover essere felici per forza. Le immagini di bambini a bocca aperta davanti ai regali e di famiglie riunite attorno a grandi tavolate permeano i media, proponendo un immaginario di una festa che, più di tutte le altre, bisogna vivere nella gioia e nella condivisione famigliare. Un esempio su tutti: la pubblicità del pandoro Bauli, accompagnata dalla sua sigla che è ormai diventata una hit natalizia, A Natale puoi (… dire ciò che non puoi dire mai / che bello è stare insieme, / che sembra di volare, / che voglia di gridare / quanto ti voglio bene / È Natale e a Natale si può fare di più / È Natale e a Natale si può amare di più).
Ci sono invece infiniti motivi per cui si possono provare emozioni negative a Natale, e fra questi ce n’è uno che mette d’accordo in moltɜ: i parenti. In quantɜ ci siamo trovati a sopportare le loro domande – la laurea? Ma ti pagano? I figli quando? – e le loro opinioni più che discutibili, senza mai aprire bocca per non rovinare il pranzo a tuttɜ?
È proprio per questa occasione che, invece, vogliamo accogliere l’invito di Sara Ahmed e diventare guastafeste, rompere la felicità se quella felicità non fa per noi. Nel suo Manuale della femminista guastafeste Ahmed, attingendo alle sue esperienze di studiosa e attivista femminista queer razzializzata, propone una serie di verità, massime e equazioni che rivendicano il diritto di rovinare la festa altrui, denunciando discriminazioni e storture a cui non ci si vuole adattare. In questo senso ostacolare la felicità diventa un progetto radicale – una teoria e insieme una pratica – per decostruire il mondo e crearne uno nuovo, alla portata di tuttɜ.
Oltre a questo libro, la redazione di Almanacco ne propone altri dieci: libri guastafeste, perfetti per turbare i parenti a Natale.
Fabio Ciancone: Luca Pisapia, Fare gol non serve a niente, Torino, add, 2024.
Siete mai stati in quella posizione scomoda che modella la schiena di tutti coloro che amano il calcio e odiano il capitalismo? Siete, come me, tra le persone che godono alla follia nel vedere un bel gol e vi imbarazza sapere che per i mondiali del 2034 in Arabia Saudita saranno sfruttati e probabilmente moriranno migliaia di operai? Non riuscite a sanare le vostre contraddizioni interne e odiate il modo in cui vostro zio parla con la retorica trita del leleadani di turno? Leggete l’ultimo saggio di Luca Pisapia per andare all’origine coloniale del calcio, per studiare come i flussi internazionali di capitale influenzano le fortune delle vostre squadre del cuore, per distruggere l’immagine dei “bomber”-azienda e continuare serenamente a discutere di tattica tra l’antipasto e il primo.
Diletta D’Angelo: Michel Houellebecq, Serotonina, trad. a cura di Vincenzo Vega, La nave di teseo, 2019.
Il miglior modo per sabotare il Natale? Serotonina di Houellebecq. Un romanzo che ti accompagna nel buio della depressione e del vuoto esistenziale, perfetto per chi si sente già soffocare dal sorriso forzato degli auguri. Con Houellebecq sul tavolo, ogni discussione familiare prenderà una piega strana: “Ma siamo felici davvero? O solo anestetizzati?”. Buona fortuna.
Simone De Lorenzi: Mark Fisher, Realismo capitalista, trad. a cura di Valerio Mattioli, NERO, 2018.
Al cenone di Natale c’è sempre un momento, dopo il dolce e prima della tombola, in cui si arriva a parlare di attualità. Tra i fumi dell’alcool e l’abbiocco post-panettone, archiviata “condanni il 7 ottobre?” come domanda rituale, quest’anno la discussione coi parenti verterà su Luigi Mangione. È a quel punto che tirerete fuori Realismo capitalista.
Fausto Paolo Filograna: George Saunders, Pastoralia, trad. a cura di Cristiana Mennella, Minimum Fax, 2018.
Nessuno può ammettere che faccia abbia per davvero la zia che verrà al cenone di Natale. Nessuno può ammetterlo perché nessuno sa quale sia la sua vera faccia, nessuno dico sa nemmeno riconoscere l’estrema punta del suo naso, e nemmeno con la luce giusta (quella del telefono). Solo George Saunders lo sa, quale sia la sua faccia. È quella che ha la Zia Bernie, quella del racconto Quercia del Mar, a p. 87, e nessun’altra, la sua vera faccia.
Riccardo Frolloni: Anne Boyer, Non morire, trad. a cura di Viola Di Grado, La Nave di Teseo, 2020.
Non c’è malattia che spaventi il Natale più di quella che Anne Boyer racconta in Non morire. Non quella del corpo, intendiamoci: quella della mente, quando scopre che tutto – dai regali al cenone – è costruito per nascondere il dolore. Il dolore di chi non può festeggiare, di chi si consuma per sopravvivere, di chi sa che la vera eredità familiare è il capitalismo terminale. Metti il libro sotto l’albero e osserva il disagio: più che un regalo, un memento mori.
Riccardo Innocenti: Niccolò Bosacchi, Disbrigo degli affari correnti, Sensibili alle foglie, 2024.
Il libro di esordio di Bosacchi racchiude prevalentemente testi in prosa che tentano di tenere insieme esistenzialismo e analisi politica, sforzandosi di proporre una chiave di lettura del presente che banni la retorica. Vediamo interagire il residuo biologico e il cemento del capoluogo lombardo, animati grazie all’incrocio di traiettorie individuali e fenomeni sovrapersonali. Si può essere politici senza fare slideshow activism 😉 ;).
Graziana Marziliano: Antonia Caruso, Corpi invisibili, illustrazioni di Chiara Mela, Meo e Sonno, Postfazione di Luce Scheggi, Becco Giallo, 2024.
La cena del veglione è uno di quei momenti in cui i grandi argomenti – guerre, migrazioni, carcere, mondo lgbtqia+, lavoro sessuale – vengono puntualmente affrontati e continuamente falliti. Un senso di incomunicabilità oltre a molta rabbia addobba le feste in famiglia (quella che non si sceglie): ho pensato che una buona soluzione a questa impasse festiva sia regalare Corpi invisibili (cioè che non vogliamo vedere). Quali sono questi corpi invisibili? Antonia Caruso ne seleziona otto: (1) Corpo del reato, l3 carcerat3; (2) Corpo al lavoro, operai3; (3) Corpo a corpo, persone in manicomio; (4) Corpo a disposizione, sex worker; (5) Corpo estraneo, persone migranti; (6) Corpo in scena, donne in TV; (7) Corpo in movimento, persone trans; (8) Libertà dei corpi, capitolo dedicato all’aborto. Il testo si sporca le mani con un lavoro tra i più difficili: risultare accessibile a chi sta al di fuori delle bolle politiche, affrontando argomenti infinitamente complicati e profondi senza perdersi per strada o arrendersi per sfinimento, è uno sguardo sui corpi che non contano, quelli che, come scrive Sylvia Wynter, sarebbero definiti come “NHI – No Humans Involved”.
Se magari rimandate le grandi discussioni sui corpi invisibili a dopo la lettura di questo libro l’elefante invisibile che è nella stanza e che non può essere rimandato rimane quello del genocidio del popolo palestinese.
Eleonora Negrisoli: Franny Choi, Soft Science, trad. a cura di Alessandra Bava e Viola Lo Moro, Timeo, 2024.
Da dove vieni? Hai mai messo in discussione la natura della tua realtà? Come facciamo a sapere che non sono solo emozioni simulate? sono alcune delle domande sottoposte durante il test di Turing alla cyborg protagonista di Soft Science di Franny Choi. Le sue risposte allargano i confini tra umano e macchina, interrogando questioni come l’identità e le relazioni. A volte è una ragazza, altre una macchina o una stella marina; i pezzi di metallo si trasformano in fluidi corporei generando poesie postporno e fantascientifiche in cui l’idea di naturale si trasforma: «ricorda / tutti gli umani / sono cyborg». Se vuoi far strabuzzare gli occhi allo zio sessista o alla cugina new age, questo è il libro perfetto.
Lorenzo di Palma: Curzio Malaparte, Tecnica del colpo di stato, Adelphi, 2011.
Cominciamo col dire che consigliare un libro ad una persona che si suppone abbia tra i cinquanta e i settanta anni è, nel 2024, un atto di per sé rivoluzionario. Quanti dei nostri parenti infatti sarebbero in grado di leggere un libro dall’inizio alla fine? Come accade per alcuni batteri parassitari, i nati negli anni ’60 hanno raramente a cuore la salute dell’organismo ospite che infestano, e raramente accettano consigli; altrettanto raramente si cimentano nell’arduo esercizio chiamato “comprensione del testo”.
Meglio dunque se il testo in questione è un breve saggio dal piglio narrativo. Meglio ancora se il saggio è stato pubblicato nel 1931, cioè in un periodo storico che, come sappiamo, va molto di moda tra i nati negli anni ’60. Sto parlando di Tecnica del colpo di stato di Curzio Malaparate, un vademecum completo sulle cause, le modalità, e le conseguenze dei più famosi golpe del ventesimo secolo: dalla nostrana marcia su Roma, al meno conosciuto golpe polacco del maresciallo Pilsudski, passando per la rivoluzione di ottobre.
Ingannati sulle finalità storiche e attratti dalla copertina Adelphi color pastello, i nati negli anni ’60 accetteranno di buon grado di sottrarre 15 euro dalla tredicesima? Ne dubito, meglio spendere quei soldi per un set di bagnoschiuma Pino Silvestre. Ché si sa che le rivoluzioni sono per altri paesi, ché in Italia non succedono queste cose, vero?… Vero??
Elena Strappato: Dorothy Parker, Complete Stories, Penguin Classics 2002.
Se ogni festa ha la sua killjoy, e il consiglio di lettura non deve essere da meno, il mio è un classico che non è un classico. Se hai visto Ragazze Interrotte o Una Mamma per Amica, forse conosci a memoria una sua poesia. Se ti mancano questi riferimenti, non importa. Probabilmente la conosci già, la conosciamo tutti, ma nessuno di noi la legge. Tra poesie e racconti c’è l’imbarazzo della scelta, soprattutto se a Natale vuoi sfoderare battute taglienti con il cugino molesto che non ti lascia in pace. D’altronde era la regina dei salotti (per il suo wit e la sua intelligenza, e non solo per il vino).
Ma se invece a Natale vuoi essere triste e guastare la festa a tutti, mentre il mondo vuole che tu sia felice, leggere Dorothy Parker ti farà bene. Ti sentirai legittimata. Perché pochi, come lei, hanno reso la profonda coscienza dell’ingiustizia che può animare ogni nostra tristezza.
Tra le traduzioni un po’ sparse dei racconti di Dorothy Parker ne esiste una di Eugenio Montale con postfazione di Fernanda Pivano, Il mio mondo è qui (Bompiani, 2003); e un’altra per i tipi di Astoria, Tanto Vale Vivere, a cura di Chiara Libero (2021).