Cosa sia la crush che dà titolo alla raccolta di Richard Siken non è facile da spiegare. Alla più comune accezione di infatuazione, innamoramento ai limiti dell’ossessione, lo scheletro delle poesie che leggete in traduzione, si accompagna quella dell’urto, della pressione violenta sulla materia, umana e non, i cui frantumi sparsi premono per uscire dalla memoria sulla carta. Ha qualcosa a che vedere con il concetto di “frantumaglia” di Elena Ferrante. Definita concretamente come «una folla di materiali incoerenti, di rottami», la frantumaglia è anche suono, «un ronzio in crescendo e uno sfaldamento a vortice di materia viva e materia morta». È «un ancoraggio per la nostra vita» che segue al senso della perdita «quando si ha la certezza che tutto ciò che ci sembra stabile, duraturo» è destinato a unirsi «a quel paesaggio di detriti che ci pare di vedere»; «la parola per un malessere non altrimenti definibile» che rimanda a «una folla di cose eterogenee nella testa, detriti su un’acqua limacciosa del cervello». Dove Ferrante però procede in un costante ritaglio tra chi perde e chi è perduto, Siken dispone questi frammenti in cerchio, murando sé e i ricordi all’interno della propria ossessione, fino alla spettacolarizzazione di questa (complice la parallela attività di filmmaker).
Nella prefazione all’edizione del 2019 di Crush Louise Glück dice della poesia di Siken: «[Crush] è il miglior esempio che si possa dare di profonda selvaticità che è al tempo stesso completamente intelligibile». Glück non fa riferimento a una comprensione intellettuale e razionale delle poesie di Crush, ma a un’identificazione che ha più a che fare col farsi colpire – o trafiggere – da questi versi. Leggere Siken vuol dire esporsi alla violenza che trasuda, sofferta o inflitta, da ogni poesia di questa raccolta. Per quanto sia pervasiva e costante, la violenza non è mai data per scontata, e quando non è nominata apertamente è inflitta a chi legge attraverso una metrica ossessiva e frenetica, che non lascia scampo. L’effetto è immersivo e claustrofobico – una lettura ad alta voce con un microfono troppo alto, un feedback acuto – per Glück: «pura improvvisazione maniacale».
Pur non lasciando spiragli per respirare, Siken concede brevi istanti di chiarezza e trasparenza, dove il terrore e il panico incalzante lasciano spazio a momenti luminosi; per un attimo ci sembra di poter guardare tutto dall’alto, solo per un secondo:
[…] che ci riporta
alle spalle dell’eroe e alla dolcezza che viene
non dall’assenza di violenza, ma a discapito
della sua abbondanza.
Se leggere le poesie di Crush significa esporsi al loro potenziale distruttivo, tradurle significa attivare un processo opposto: raccogliere i frantumi e ricomporli. Abbiamo cercato di mantenerci il più possibile aderenti al testo e di restituire le sensazioni fisiche scatenate dall’andamento sincopato delle poesie che abbiamo scelto.
Da Crush (yALE university press, 2019) di richard siken
The Torn-Up Road
There is no way to make this story interesting.
A pause, a road, the taste of grave in the mouth. The rocks dig into my skin
like arrowheads.
And then the sense of being smothered underneath a sack of lentils
or potatoes, or of a boat at night slamming into the docks again
without navigation, without consideration,
heedless of the plank of wood that are the dock,
that make up the berth itself.
2
I want to tell you this story without having to confess anything,
without having to say that I ran out into the street to prove something,
that he didn’t love me,
that I wanted to be thrown over, possessed.
I want to tell you this story without having to be in it:
Max in the wrong clothes. Max at the party, drunk again.
Max in the kitchen, in refrigerator light, his hands around the neck of a beer.
Tell me we’re dead and I’ll love you even more.
I’m surprised that I say it with feeling.
There’s a thing in my stomach about this. A simple thing. The last rung.
3
Can you see them there, by the side of the road,
not moving, not wrestling,
making a circle out of the space between the circles? Can you see them
pressed into the gravel, pressed into the dirt, pressing against each other
in an effort to make the minutes stop —
headlights shining in all directions, night spilling over them like
gasoline in all directions, and the dark blue over everything, and them
holding their breath –
4
I want to tell you this story without having to say that I ran out into the street
to prove something, that he chased after me
and threw me into the gravel.
And he knew it wasn’t going to be okay, and he told me
it wasn’t going to be okay.
And he wouldn’t kiss me, but he covered my body with his body
and held me down until I promised not to run back out into the street again.
But the minutes don’t stop. The prayer of going nowhere
going nowhere.
5
His shoulder blots out the starts but the minutes don’t stop. He covers my body
with his body but the minutes
don’t stop. The smell of him mixed with creosote, exhaust —
There, on the ground, slipping through the minutes,
trying to notch them. Like taking the same picture over and over, the spaces
in between sealed up —
Knocked hard enough to make the record skip
and change its music, setting the melody on its
forward course again, circling and circling the center hole in the flat black disk.
And words, little words,
words too small for any hope or promise, not really soothing
but soothing nonetheless.
La strada spezzata
1
Non c’è modo di rendere questa storia interessante.
Una tregua, una strada, il sapore di ghiaia nella bocca. Le pietre mi scavano la pelle
come punte di freccia.
E poi sentirsi soffocati da un sacco di lenticchie
o di patate, o una barca notturna che sbatte di nuovo contro il molo
senza navigazione, senza valutazione,
incurante delle assi di legno che sono il molo
che compongono l’ormeggio.
2
Voglio raccontarti questa storia senza dover confessare nulla,
senza dover dire che uscii in strada correndo per dimostrare qualcosa,
che lui non mi amava,
che io, posseduto, volevo farmi lasciare.
Voglio raccontarti questa storia senza che io ci debba essere:
Max in abiti sbagliati. Max alla festa, di nuovo ubriaco.
Max in cucina, alla luce del frigo, le mani sul collo di una birra.
Dimmi che eri morto e ti amerò persino di più.
Dirlo con sentimento mi stupisce,
È qualcosa nel mio stomaco. Una cosa semplice. L’ultimo gradino.
3
Li vedi laggiù, sul ciglio della strada,
non si muovono, non fanno la lotta,
creano un cerchio nello spazio tra i cerchi? Li vedi
schiacciati nella ghiaia, schiacciati nel fango, schiacciandosi l’uno contro l’altro
nello sforzo di fermare i minuti —
i fari fanno luce in ogni direzione, la notte si rovescia su di loro
simile a benzina in ogni direzione, e il blu scuro sopra ogni cosa, e loro
trattengono il respiro –
4
Voglio raccontarti questa storia senza dover dire che uscii in strada correndo
per dimostrare qualcosa, che lui mi rincorse
e mi spinse nella ghiaia.
E sapeva che non sarebbe finita bene, e mi disse
che non sarebbe finita bene.
E non mi baciò ma ricoprì il mio corpo con il suo corpo
e mi trattenne fino a quando non promisi di non correre più in strada.
Ma i minuti non si fermano. Non andava da nessuna parte la preghiera
di non andare da nessuna parte.
5
La sua spalla cancella le partenze ma i minuti non si fermano. Copre il mio corpo
con il suo corpo ma i minuti
non si fermano. Il suo odore misto al creosoto, vapore di scarico –
Lì, a terra, scivolando tra i minuti,
provando a intaccarli. Come scattare la stessa foto di continuo,
gli interstizi sigillati –
Un colpo abbastanza forte da far saltare il disco
e cambiargli la musica, riportando la melodia
di nuovo al suo inizio, girando, girando ancora intorno al foro del disco piatto e nero.
E le parole, piccole parole,
parole troppo piccole per ogni speranza o promessa, che non sono davvero di conforto
ma di conforto comunque.
Litany in Which Certain Things Are Crossed Out
Every morning the maple leaves.
Every morning another chapter where the hero shifts
from one foot to the other. Every morning the same big
and little words all spelling out desire, all spelling out
You will be alone always and then you will die.
So maybe I wanted to give you something more than a catalog
of non-definitive acts,
something other than the desperation.
Dear So-and-So, I’m sorry I couldn’t come to your party.
Dear So-and-So, I’m sorry I came to your party
and seduced you
and left you bruised and ruined, you poor sad thing.
You want a better story. Who wouldn’t?
A forest, then. Beautiful trees. And a lady singing.
Love on the water, love underwater, love, love and so on.
What a sweet lady. Sing lady, sing! Of course, she wakes the dragon.
Love always wakes the dragon and suddenly
flames everywhere.
I can tell already you think I’m the dragon,
that would be so like me, but I’m not. I’m not the dragon.
I’m not the princess either.
Who am I? I’m just a writer. I write things down.
I walk through your dreams and invent the future. Sure,
I sink the boat of love, but that comes later. And yes, I swallow
glass, but that comes later.
And the part where I push you
flush against the wall and every part of your body rubs against the bricks,
shut up
I’m getting to it.
For a while I thought I was the dragon.
I guess I can tell you that now. And, for a while, I thought I was
the princess,
cotton candy pink, sitting there in my room, in the tower of the castle,
young and beautiful and in love and waiting for you with
confidence
but the princess looks into her mirror and only sees the princess,
while I’m out here, slogging through the mud, breathing fire,
and getting stabbed to death.
Okay, so I’m the dragon. Bid deal.
You still get to be the hero.
You get the magic gloves! A fish that talks! You get eyes like flashlights!
What more do you want?
I make you pancakes, I take you hunting, I talk to you as if you’re
really there.
Are you there, sweetheart? Do you know me? Is this microphone live?
Let me do it right for once,
for the record, let me make a thing of cream and stars that becomes,
you know the story, simply heaven.
Inside your head you hear a phone ringing
and when you open your eyes
only a clearing with deer in it. Hello deer.
Inside your head the sound of glass,
a car crash sound as the trucks roll over and explode in slow motion.
Hello darling, sorry about that.
Sorry about the bony elbows, sorry we
lived here, sorry about the scene at the bottom of the stairwell
and how I ruined everything by saying it out loud.
Especially that, but I should have known.
You see, I take the parts that I remember and stitch them back together
to make a creature that will do what I say
or love me back.
I’m not really sure why I do it, but in this version you are not
feeding yourself to a bad man
against a black sky prickled with small lights.
I take it back.
The wooden halls like caskets. These terms from the lower depths.
I take them back.
Here is the repeated image of the lover destroyed.
Crossed out.
Clumsy hands in a dark room. Crossed out. There is something
underneath the floorboards.
Crossed out. And here is the tabernacle
reconstructed.
Here is the part where everyone was happy all the time and we were all
forgiven,
even though we didn’t deserve it.
Inside your head you hear
a phone ringing, and when you open your eyes you’re washing up
in a stranger’s bathroom,
standing by the window in a yellow towel, only twenty minutes away
from the dirtiest thing you know.
All the rooms of the castle except this one, says someone, and suddenly
darkness,
suddenly only darkness.
In the living room, in the broken yard,
in the back of the car as the lights go by. In the airport
bathroom’s gurgle and flush, bathed in a pharmacy of
unnatural light,
my hands looking weird, my face weird, my feet too far away.
And the airplane, the window seat over the wing with a view
of the wing and a little foil bag of peanuts.
I arrived in the city and you met me at the station,
smiling in a way
that made me frightened. Down the alley, around the arcade,
up the stairs of the building
to the little room with the broken faucets, your drawings, all your things,
I looked out the window and said
This doesn’t look that much different from home,
because it didn’t,
but then I noticed the black sky and all those lights.
We walked through the house to the elevated train.
All these buildings, all that glass and the shiny beautiful
mechanical wind.
We were inside the train car when I started to cry. You were crying too,
smiling and crying in a way that made me
even more hysterical. You said I could have anything I wanted, but I
just couldn’t say it out loud.
Actually, you said Love, for you,
is larger than the usual romantic love. It’s like a religion. It’s
terrifying. No one
will ever want to sleep with you.
Okay, if you’re so great, you do it—
here’s the pencil, make it work . . .
If the window is on your right, you are in your own bed. If the window
is over your heart, and it is painted shut, then we are breathing
river water.
Build me a city and call it Jerusalem. Build me another and call it
Jerusalem.
We have come back from Jerusalem where we found not
what we sought, so do it over, give me another version,
a different room, another hallway, the kitchen painted over
and over,
another bowl of soup.
The entire history of human desire takes about seventy minutes to tell.
Unfortunately, we don’t have that kind of time.
Forget the dragon,
leave the gun on the table, this has nothing to do with happiness.
Let’s jump ahead to the moment of epiphany,
in gold light, as the camera pans to where
the action is,
lakeside and backlit, and it all falls into frame, close enough to see
the blue rings of my eyes as I say
something ugly.
I never liked that ending either. More love streaming out the wrong way,
and I don’t want to be the kind that says the wrong way.
But it doesn’t work, these erasures, this constant refolding of the pleats.
There were some nice parts, sure,
all lemondrop and melon ball, laughing in silk pajamas
and the grains of sugar
on the toast, love love or whatever, take a number. I’m sorry
it’s such a lousy story.
Dear Forgiveness, you know that recently
we have had our difficulties and there are many things
I want to ask you.
I tried that one time, high school, second lunch, and then again,
years later, in the chlorinated pool.
I am still talking to you about help. I still do not have
these luxuries.
I have told you where I’m coming from, so put it together.
We clutch our bellies and roll on the floor . . .
When I say this, it should mean laughter,
not poison.
I want more applesauce. I want more seats reserved for heroes.
Dear Forgiveness, I saved a plate for you.
Quit milling around the yard and come inside.
Litania di alcune cose con una croce sopra
Ogni mattina le foglie d’acero.
Ogni mattina un altro capitolo dove l’eroe si sposta
da un piede all’altro. Ogni mattina le stesse grandi
e piccole parole tutte a scandire desiderio, tutte a scandire
Sarai solo sempre e dopo morirai.
Per questo forse volevo darti qualcosa di più che un catalogo
di atti non definitivi,
qualcosa di diverso dalla disperazione.
Caro Tal dei Tali, mi dispiace non essere venuto alla tua festa.
Caro Tal dei Tali, mi dispiace essere venuto alla tua festa
e averti sedotto
e abbandonato, livido e malridotto, tu, povera triste creatura.
Vuoi una storia migliore. Chi non la vorrebbe?
Una foresta, allora. Alberi bellissimi. E una dama che canta.
Amore sull’acqua, amore sott’acqua, amore, amore eccetera.
Che dolce dama! Canta, dama, canta! Certo, sveglia il drago.
L’amore sveglia sempre il drago e a un tratto
fiamme dappertutto.
So già che pensi che il drago sono io,
che sarebbe proprio da me, ma non lo sono. Non sono io il drago.
Non sono nemmeno la principessa.
Chi sono? Sono solo uno scrittore. Scrivo le cose.
Cammino attraverso i tuoi sogni e invento il futuro. Senza dubbio
affondo la barca dell’amore, ma quello viene dopo. E sì, ingoio
vetro, ma questo viene dopo.
E la parte dove ti spingo
dritto contro il muro e ogni parte del tuo corpo sfrega sui mattoni,
zitto
ci sto arrivando.
Per un po’ ho creduto di essere io il drago.
Forse ora posso dirlo. E per un po’ ho creduto di essere io
la principessa,
rosa confetto, seduta lì nella mia stanza, nella torre del castello,
giovane e bella e innamorata e aspettandoti con
sicurezza
ma la principessa guarda nello specchio e vede solo la principessa,
mentre io sono qui fuori, mentre mi trascino nel fango, respiro fuoco,
e sono pugnalato a morte.
Okay, così io sono il drago. Che grande affare.
Puoi comunque essere l’eroe.
Avrai i guanti magici! Un pesce parlante! Avrai due occhi come torce!
Cosa vuoi di più?
Ti faccio i pancake, ti porto a caccia, ti parlo come se ci fossi
davvero.
Ci sei, tesoro? Mi conosci? Questo microfono funziona?
Lasciami fare la cosa giusta per una volta,
per la cronaca, lasciami creare una cosa di panna e stelle che sia,
la sai la storia, semplicemente divina.
Dentro la tua testa senti squillare un telefono
e quando apri i tuoi occhi
solo una radura con un cervo. Ciao cervo.
Dentro la tua testa il suono del vetro,
il suono dello schianto mentre i camion si ribaltano ed esplodono
[al rallentatore.
Ciao caro, mi dispiace.
Mi dispiace per i gomiti ossuti, mi dispiace
se abbiamo vissuto qui, mi dispiace per la scena sulla tromba delle scale
e di come ho rovinato tutto dicendo quella cosa a voce alta.
Di questo in particolare, ma avrei dovuto sapere.
Vedi, prendo le parti che ricordo e le ricucio insieme
per fare una creatura che farà quello che le dico
o che ricambierà il mio amore.
Non capisco bene perché, ma in questa versione non sei tu
a darti in pasto a un uomo cattivo
contro un cielo nero pizzicato da piccole luci.
Me la rimangio.
Sale in legno simili a bare. Termini dagli abissi più profondi.
Me li rimangio.
Ecco l’immagine ripetuta dell’amante distrutto.
Una croce sopra.
Mani goffe in una stanza buia. Una croce sopra. C’è qualcosa
sotto al pavimento di legno.
Una croce sopra. E qui è la nicchia
ricostruita.
Ecco la parte dove tutti erano felici tutto il tempo e noi eravamo tutti
perdonati,
anche se non lo abbiamo meritato.
Puoi sentire nella testa
un telefono che squilla, e quando riapri gli occhi ti stai lavando
nel bagno di uno sconosciuto
appoggiato alla finestra in un asciugamano giallo, a soli venti minuti
dalla cosa più sporca che conosci.
Tutte le stanze del castello a parte questa, dice qualcuno, e a un tratto
il buio,
a un tratto solo il buio.
Nel salone, nel cortile sconnesso,
dietro una macchina mentre passano le luci. Nel borboglio
dello scarico del bagno all’aeroporto, immersi in una farmacia
di luce innaturale,
le mie mani sembrano strane, la mia faccia strana, i miei piedi troppo distanti.
E l’aeroplano, il posto al finestrino sopra l’ala, vista
ala e un pacchetto di noccioline in alluminio.
Sono arrivato in città e ti ho incontrato alla stazione,
sorridevi in un modo
che mi ha intimorito. In fondo al vicolo, intorno al portico,
in cima alle scale del palazzo
fino alla piccola stanza coi rubinetti rotti, i tuoi disegni, tutte le tue cose,
ho guardato fuori alla finestra e ho detto
Non sembra così diverso da casa
perché davvero non lo era,
poi però ho notato il cielo nero e tutte quelle luci.
Siamo passati attraverso la casa fino alla sopraelevata.
Tutti questi palazzi, tutto quel vetro e quello splendido
vento meccanico.
Eravamo al vagone quando ho iniziato a piangere. Piangevi anche tu,
sorridendo e piangendo così da farmi diventare
ancora più isterico. Hai detto che potevo avere tutto quello che volevo, ma io
proprio non riuscivo a dirlo ad alta voce.
In verità hai detto, L’amore, per te,
è più grande del solito amore romantico. È una religione. È
terrificante. Nessuno
vorrà mai venire a letto con te.
Ok, se tu sei così bravo, fallo tu –
ecco la matita, fallo funzionare…
Se hai la finestra sulla destra, sei nel tuo letto. Se la finestra
è sul tuo cuore, sigillato, allora respiriamo
acqua di fiume.
Fai per me una città e chiamala Gerusalemme. Fanne un’altra e chiamala
Gerusalemme.
Torniamo da Gerusalemme dove non abbiamo trovato
quello che cercavamo, quindi falla da capo, dammi un’altra versione,
una stanza diversa, un altro corridoio, la cucina ridipinta
e così via,
un altro piatto di zuppa.
Occorrono settanta minuti per raccontare l’intera storia del desiderio umano.
Purtroppo, non abbiamo tutto questo tempo.
Dimentica il drago,
lascia il fucile sul tavolo, questo non ha nulla a che fare con la felicità.
Buttiamoci a capofitto nel momento dell’epifania,
nella luca dorata, mentre la videocamera segue dove si muove
l’azione
sulla sponda del lago e in controluce, e tutto ricade dentro l’inquadratura, abbastanza vicino per [vedere
gli anelli blu dei miei occhi mentre dico
qualcosa di brutto.
Non mi è mai piaciuto nemmeno quel finale. Altro amore che scorre nel verso sbagliato
senza essere il tipo che dice nel verso sbagliato.
Ma non funziona, queste cancellature, questo costante ripiegarsi delle pieghe.
Le parti belle non sono certo mancate,
tutte caramelle al limone e succo di melone, ridendo nel pigiama di seta
e i granelli di zucchero
sul toast, amore amore o non importa, prendi un numero. Mi dispiace
è una storia così triste.
Caro Perdono, sai che di recente
abbiamo avuto le nostre difficoltà e ci sono molte cose
che vorrei chiederti.
Ci ho provato quella volta, a scuola, la seconda colazione, e poi ancora,
anni dopo, nella piscina di cloro.
Ti parlo ancora di aiuto. Non ho ancora
questi lussi.
Ti ho detto da dove provengo, fai due più due.
Stringiamo i nostri ventri e rotoliamo sul pavimento…
Quando lo dico, dovrebbe suscitare una risata,
non avvelenare.
Ne voglio ancora di salsa alle mele. Voglio più posti riservati agli eroi.
Caro Perdono, ho messo da parte un piatto per te.
Smettila di girare intorno al giardino e vieni dentro.
Snow and Dirty Rain
Close your eyes. A lover is standing too close
to focus on. Leave me blurry and fall toward me
with your entire body. Lie under the covers, pretending
to sleep, while I’m in the other room. Imagine
my legs crossed, my hair combed, the shine of my boots
in the slatted light. I’m thinking My plant, his chair,
the ashtray that we bought together. I’m thinking This is where
we live. When we were little we made houses out of
cardboard boxes. We can do anything. It’s not because
our hearts are large, they’re not, it’s what we
struggle with. The attempt to say Come over. Bring
your friends. It’s a potluck, I’m making pork chops, I’m making
those long noodles you love so much. My dragonfly,
my black-eyed fire, the knives in the kitchen are singing
for blood, but we are the crossroads, my little outlaw,
and this is the map of my heart, the landscape
after cruelty which is, of course, a garden, which is
a tenderness, which is a room, a lover saying Hold me
tight, it’s getting cold. We have not touched the stars,
nor are we forgiven, which brings us back
to the hero’s shoulders and the gentleness that comes,
not from the absence of violence, but despite
the abundance of it. The lawn drowned, the sky on fire,
the gold light falling backward through the glass
of every room. I’ll give you my heart to make a place
for it to happen, evidence of a love that transcends hunger.
Is that too much to expect? That I would name the stars
for you? That I would take you there? The splash
of my tongue melting you like a sugar cube? We’ve read
the back of the book, we know what’s going to happen.
The fields burned, the land destroyed, the lovers left
broken in the brown dirt. And then it’s gone.
Makes you sad. All your friends are gone. Goodbye
Goodbye. No more tears. I would like to meet you all
in Heaven. But there’s a litany of dreams that happens
somewhere in the middle. Moonlight spilling
on the bathroom floor. A page of the book where we
transcend the story of our lives, past the taco stands
and record stores. Moonlight making crosses
on your body, and me putting my mouth on every one.
We have been very brave, we have wanted to know
the worst, wanted the curtain to be lifted from our eyes.
This dream going on with all of us in it. Penciling in
the bighearted slob. Penciling in his outstretched arms.
Our father who art in Heaven. Our father who art buried
in the yard. Someone is digging your grave right now.
Someone is drawing a bath to wash you clean, he said,
so think of the wind, so happy, so warm. It’s a fairy tale,
the story underneath the story, sliding down the polished
halls, lightning here and gone. We make these
ridiculous idols so we can to what’s behind them,
but what happens after we get up the ladder?
Do we simply stare at what’s horrible and forgive it?
Here is the river, and here is the box, and here are
the monsters we put in the box to test our strength
against. Here is the cake, and here is the fork, and here’s
the desire to put it inside us, and then the question
behind every question: What happens next?
The way you slam your body into mine reminds me
I’m alive, but monsters are always hungry, darling,
and they’re only a few steps behind you, finding
the flaw, the poor weld, the place where we weren’t
stitched up quite right, the place they could almost
slip right into through if the skin wasn’t trying to
keep them out, to keep them here, on the other side
of the theater where the curtain keeps rising.
I crawled out the window and ran into the woods.
I had to make up all the words myself. The way
they taste, the way they sound in the air. I passed
through the narrow gate, stumbled in, stumbled
around for a while, and stumbled back out. I made
this place for you. A place for to love me.
If this isn’t a kingdom then I don’t know what is.
So how would you catalog it? Dawn in the fields?
Snow and dirty rain? Light brought in in buckets?
I was trying to describe the kingdom, but the letters
kept smudging as I wrote them: the hunter’s heart,
the hunter’s mouth, the trees and the trees and the
space between the trees, swimming in gold. The words
frozen. The creatures frozen. The plum sauce
leaking out of the bag. Explaining will get us nowhere.
I was away, I don’t know where, lying on the floor,
pretending I was dead. I wanted to hurt you
but the victory is that I could not stomach it. We have
swallowed him up, they said. It’s beautiful. It really is.
I had a dream about you. We were in the gold room
where everyone finally gets what they want.
You said Tell me about your books, your visions made
of flesh and light and I said This is the Moon. This is
the Sun. Let me name the stars for you. Let me take you
there. The splash of my tongue melting you like a sugar
cube… We were in the gold room where everyone
finally gets what they want, so I said What do you
want, sweetheart? and you said Kiss me. Here I am
leaving you clues. I am singing now while Rome
burns. We are all just trying to be holy. My applejack,
my silent night, just mash your lips against me.
We are all going forward. None of us are going back.
Neve e Pioggia Sporca
Chiudi gli occhi. Un amante in piedi troppo vicino
per metterlo a fuoco. Lasciami sfuocato e cadi su di me
con tutto il tuo corpo. Stai sotto le coperte, fai finta
di dormire, mentre io sono nell’altra stanza. Immagina
le mie gambe accavallate, i miei capelli pettinati, il brillare dei miei stivali
nella luce filtrata dalle assi. Sto pensando La mia pianta, la sua sedia,
il posacenere che abbiamo comprato insieme. Penso Qui è dove
viviamo. Quando eravamo piccoli costruivamo case
da scatole di cartone. Possiamo fare tutto. Non perché
i nostri cuori siano grandi, non lo sono, è quello
contro cui combattiamo. Il tentativo di dire vieni, porta
i tuoi amici. È un potluck, faccio le costolette, sto preparando
quei noodles lunghi che ti piacciono tanto. Mia libellula,
mio fuoco dagli occhi neri, i coltelli in cucina cantano
per il sangue, ma noi siamo i crocevia, mio piccolo fuorilegge,
e questa è la mappa del mio cuore, il paesaggio
dopo la crudeltà che è, ovviamente, un giardino, che è
una tenerezza, che è una stanza, un amante che dice Stringimi
forte, si sta facendo freddo. Non abbiamo toccato le stelle,
né siamo stati perdonati, che ci riporta
alle spalle dell’eroe e alla dolcezza che viene,
non dall’assenza di violenza, ma a discapito
la sua abbondanza. Il campo annegato, il cielo in fiamme,
la luce dorata che cade all’indietro attraverso i vetri
di tutte le stanze. Ti darò il mio cuore per farne un posto
dove possa accadere, prova di un amore che trascende la fame.
è aspettarsi troppo? Dare i nomi alle stelle
per te? Portarti là? Lo schizzo
della mia lingua che ti scioglie come una zolletta di zucchero? Abbiamo letto
la trama del libro, sappiamo cosa succederà.
I campi bruciati, la terra distrutta, gli amanti
spezzati nella polvere marrone. E poi è finita.
Ti rende triste. Tutti i tuoi amici se ne sono andati. Addio
Addio. Niente più lacrime. Vorrei incontrarvi tutti
in Paradiso. Ma c’è una litania di sogni che accade
da qualche parte nel mezzo. Luce di luna che si rovescia
sul pavimento del bagno. Una pagina del libro dove
trascendiamo la storia delle nostre vite, oltre i chioschi di tacos
e i negozi di dischi. Luce di luna che fa delle croci
sul tuo corpo, e io che metto la mia bocca su di ognuna.
Siamo stati molto coraggiosi, abbiamo voluto sapere
il peggio, abbiamo voluto che il velo fosse sollevato dai nostri occhi.
Questo sogno continua con tutti noi dentro. Scarabocchiandoci
lo sciattone dal cuore grande. Scarabocchiandoci le sue braccia spalancate.
Padre nostro che sei nei cieli. Padre nostro che sei sepolto
nel cortile. Qualcuno ti sta scavando la tomba proprio adesso.
Qualcuno ti sta preparando un bagno per lavarti, ha detto,
quindi pensa al vento, così felice, così caldo. È una fiaba,
la storia sotto la storia, che scivola lungo i corridoi lucidati,
un lampo arriva e poi sparisce. Creiamo questi
idoli ridicoli così da poter vedere cosa c’è dietro
ma cosa succede una volta salita la scala?
restiamo semplicemente a guardare ciò che è orribile e lo perdoniamo?
ecco il fiume, ed ecco la scatola, e qui ci sono
i mostri che mettiamo nella scatola, per testare contro di loro
la nostra forza. Ecco la torta, qui la forchetta, e qui
il desiderio di metterla dentro di noi, e poi la domanda
dietro ogni domanda: Cosa succede dopo?
Il modo in cui sbatti il tuo corpo sul mio mi ricorda
che sono vivo, ma i mostri hanno sempre fame, caro,
e sono solo qualche passo dietro di te, alla ricerca
della falla, della saldatura lenta, del punto dove non siamo stati
ricuciti bene, il punto da cui possono quasi
scivolare dentro se la pelle non stesse cercando di
tenerli fuori, di tenerli là, dall’altra parte
del teatro dove il sipario continua ad alzarsi.
Sono strisciato fuori dalla finestra e sono corso nel bosco.
Mi sono dovuto inventare io tutte le parole. Il loro
sapore, il modo in cui risuonano nell’aria. Ho attraversato
lo stretto varco, sono entrato barcollando, barcollato
in giro per un po’, e mi sono trascinato fuori. Ho creato
questo posto per te. Un posto dove tu possa amarmi.
Se non è questo un regno, allora non so cosa lo sia.
Quindi come lo catalogheresti? Alba nei campi?
Neve e pioggia sporca? Luce che cade a secchiate?
Cercavo di descrivere il regno, ma le lettere
continuavano a sbavarsi mentre le scrivevo: il cuore del cacciatore,
la bocca del cacciatore, gli alberi e gli alberi e lo
spazio tra gli alberi, che nuotano nell’oro. Le parole
congelate. Le creature congelate. La salsa di prugne
che cola dalla busta. Spiegare non ci porterà da nessuna parte.
Ero lontano, non so dove, sdraiato sul pavimento,
facevo finta di essere morto. Volevo farti del male
ma la vittoria è non essere riuscito a sopportarlo. L’abbiamo
ingoiato, hanno detto. È bello, è davvero bello.
Ti ho sognato. Eravamo nella stanza dorata
Dove ognuno finalmente ottiene ciò che vuole.
Mi hai detto parlami dei tuoi libri, delle tue visioni
di carne e luce e io ho detto Questa è la Luna. Questo è
il Sole. Fammi dare nomi alle stelle per te. Lascia che ti ci porti.
Lo schizzo della mia lingua che ti scioglie come una zolletta
di zucchero… Eravamo nella stanza dorata dove ognuno
finalmente ottiene ciò che vuole, quindi ho detto Cosa vuoi,
tesoro? E tu hai detto Baciami. Eccomi,
ti lascio degli indizi. Sto cantando mentre Roma
brucia. Stiamo solo cercando di essere tutti santi. Mio applejack,
mia notte quieta, schiaccia solo le tue labbra contro di me.
Stiamo tutti andando avanti. Nessuno di noi torna indietro.
Boot Theory
A man walks into a bar and says:
Take my wife–please.
So you do.
You take her out into the rain and you fall in love with her
and she leaves you and you’re desolate.
You’re on your back in your undershirt, a broken man
on an ugly bedspread, staring at the water stains
on the ceiling.
And you can hear the man in the apartment above you
taking off his shoes.
You hear the first boot hit the floor and you’re looking up,
you’re waiting
because you thought it would follow, you thought there would be
some logic, perhaps, something to pull it all together
but here we are in the weeds again,
here we are
in the bowels of the thing: your world doesn’t make sense.
And then the second boot falls.
And then a third, a fourth, a fifth.
A man walks into a bar and says:
Take my wife–please.
But you take him instead.
You take him home, and you make him a cheese sandwich,
and you try to get his shoes off, but he kicks you
and he keeps kicking you.
You swallow a bottle of sleeping pills but they don’t work.
Boots continue to fall to the floor
in the apartment above you.
You go to work the next day pretending nothing happened.
Your co-workers ask
if everything’s okay and you tell them
you’re just tired.
And you’re trying to smile. And they’re trying to smile.
A man walks into a bar, you this time, and says:
Make it a double.
A man walks into a bar, you this time, and says:
Walk a mile in my shoes.
A man walks into a convenience store, still you, saying:
I only wanted something simple, something generic…
But the clerk tells you to buy something or get out.
A man takes his sadness down to the river and throws it in the river
but then he’s still left
with the river. A man takes his sadness and throws it away
but then he’s still left with his hands.
Teoria dello Stivale
Un uomo entra in un bar e dice:
prendi mia moglie – per favore.
quindi esegui.
La porti fuori nella pioggia e ti innamori di lei
e lei ti lascia e tu sei disperato.
Sei sdraiato sulla schiena in canottiera, un uomo spezzato
su un brutto copriletto, a fissare le macchie di umidità
sul soffitto.
E puoi sentire l’uomo nell’appartamento di sopra
che si toglie le scarpe.
Senti il primo stivale cadere al suolo e guardi in alto,
attendi
perchè pensavi che avrebbe continuato, pensavi che ci sarebbe stata
una qualche logica, magari, qualcosa che tenesse tutto insieme
ma siamo di nuovo tra le ortiche,
eccoci
nelle viscere della cosa: il tuo mondo non ha senso.
E poi cade il secondo stivale.
e poi un terzo, un quarto, un quinto.
Un uomo entra in un bar e dice:
prendi mia moglie – per favore.
Ma tu prendi lui invece.
Lo porti a casa e gli prepari un panino al formaggio,
e cerchi di togliergli le scarpe, ma lui scalcia
e continua a scalciare.
Mandi giù un’intera bottiglia di sonniferi ma non fanno effetto.
Gli stivali continuano a cadere al suolo
nell’appartamento di sopra.
Vai al lavoro il giorno dopo fingendo che non sia successo niente.
Il tuo collega chiede
se è tutto okay e gli dici
che sei solo stanco.
E cerchi di sorridere e anche lui cerca di sorridere.
Un uomo entra in un bar, sei tu stavolta, e dice:
fammene uno doppio.
Un uomo entra in un bar, sei tu stavolta, e dice:
Mettiti nei miei panni.
Un uomo entra in un minimarket, sempre tu, dicendo:
Io volevo solo qualcosa di semplice, qualcosa di generico…
Ma il commesso ti dice di comprare qualcosa o di uscire.
Un uomo porta la sua tristezza al fiume e la getta nel fiume
ma poi gli rimane
il fiume. Un uomo prende la sua tristezza e la butta via
ma poi gli rimangono le sue mani.
I Had a Dream About You
All the cows were falling out of the sky and landing in the mud.
You were drinking sangria and I was throwing oranges at you,
but it didn’t matter.
I said my arms are very long and your head’s on fire.
I said kiss me here and here and here
and you did.
Then you wanted pasta,
so we trampled out into the tomatoes and rolled around to make the sauce.
You were very beautiful.
We were in the Safeway parking lot. I couldn’t find my cigarettes.
You said Hurry up! but I was worried there would be a holdup
and we would be stuck in a hostage situation, hiding behind
the frozen meats, with nothing to smoke for hours.
You said Don’t be silly,
so I followed you into the store.
We were thumping the melons when I heard somebody say Nobody move!
I leaned over and whispered in your ear I told you so.
There was a show on the television about buried treasure.
You were trying to convince me that we should buy shovels
and go out into the yard
and I was trying to convince you that I was a vampire.
On the way to the hardware store I kept biting your arm
and you said if I really was a vampire I would be biting your neck,
so I started biting your neck
and you said Cut it out!
and you bought me an ice cream, and then we saw the UFO.
These are the dreams we should be having. I shouldn’t have to
clean them up like this.
You were lying in the middle of the empty highway.
The sky was red and the sand was red and you were wearing a brown coat.
There were flecks of foam in the corners of your mouth.
The birds were watching you.
Your eyes were closed and you were listening to the road and I could
hear your breathing, I could hear your heart beating.
I carried you to the car and drove you home but you
weren’t making any sense
I took a shower and tried to catch my breath.
You were lying on top of the bedspread
in boxer shorts, watching cartoons and laughing but not making any sound.
Your skin looked blue in the television light.
Your teeth looked yellow.
Still wet, I lay down next to you. Your arms, your legs, your naked chest,
your ribs delineated like a junkyard dog.
There’s nowhere to go, I thought. There’s nowhere to go.
You were sitting in a bathtub at the hospital and you were crying.
You said it hurt.
I mean the buildings that were not the hospital.
I shouldn’t have mentioned the hospital.
I don’t think I can take this much longer.
In the dream I don’t tell anyone, you put your head in my lap.
Let’s say you’re driving down the road with your eyes closed
but my eyes are also closed.
You’re by the side of the road.
You’re by the side of the road and you’re doing all the talking
while I stare at my shoes.
They’re nice shoes, brown and comfortable, and I like your voice.
In the dream I don’t tell anyone, I’m afraid to wake you up.
In these dreams it’s always you:
the boy in the sweatshirt,
the boy on the bridge, the boy who always keeps me
from jumping off the bridge.
Oh, the things we invent when we are scared
and want to be rescued.
Your jeep. Your teeth. The coffee that you bought me.
The sandwich cut in half on the plate.
I woke up and ate ice cream in the dark,
hunched over on the wooden chair in the kitchen,
listening to the rain.
I borrowed your shoes and didn’t put them away.
You were crying and eating rice.
The surface of the water was still and bright.
Your feet were burning so I put my hands on them, but my hands
were burning too.
You had a bottle of pills but I wouldn’t let you swallow them.
You said Will you love me even more when I’m dead?
And I said No, and I threw the pills on the sand.
Look at them, you said. They look like emeralds.
I put you in the cage with the ocelots. I was trying to fatten you up
with sausage and bacon.
Somehow you escaped and climbed up the branches of a pear tree.
I chopped it down but there was no one in it.
I went to the riverbed to wait for you to show up.
You didn’t show up.
I kept waiting.
Ti ho sognato
Tutte le vacche cadevano dal cielo e atterravano nel fango
Tu bevevi sangria e io ti lanciavo addosso delle arance,
ma non aveva alcuna importanza.
Ho detto le mie braccia sono davvero lunghe e la tua testa va a fuoco.
Ho detto baciami qui, e qui, e qui
E tu hai eseguito.
Dopo volevi mangiare la pasta,
Così abbiamo pestato i pomodori e ci siamo rotolati per farne la salsa.
Eri stupendo.
Ci trovavamo nel parcheggio di Safeway. Non riuscivo a trovare le mie sigarette.
Mi dicevi Sbrigati! ma mi preoccupava l’idea di una rapina
E che saremmo rimasti bloccati, come ostaggi, nascosti dietro
La carne surgelata, con niente da fumare per ore.
Mi hai detto Non fare l’idiota,
Così ti ho seguito dentro il negozio.
Stavamo tamburellando sui cocomeri quando abbiamo sentito qualcuno dire Nessuno si muova!
Mi sono piegato e ti ho sussurrato all’orecchio: te l’avevo detto.
In televisione mandavano in onda uno show sui tesori sepolti.
Stavi cercando di convincermi a comprare delle vanghe
e andare fuori in giardino
e io provavo a convincerti di essere un vampiro.
Sulla strada per il ferramenta continuavo a morderti il braccio
E tu mi hai detto che se fossi stato davvero un vampiro avrei puntato alla gola,
così ho iniziato a morderti il collo
e tu hai detto: dacci un taglio!
e mi hai comprato un gelato, e poi abbiamo visto l’UFO.
Questi sono i sogni che dovremmo fare. Non dovrei doverli ripulire così.
Tu eri sdraiato nel bel mezzo della strada vuota.
Il cielo era rosso, la sabbia era rossa e tu portavi un cappotto marrone.
C’erano rivoli di bava agli angoli della tua bocca.
Gli uccelli ti fissavano.
I tuoi occhi erano chiusi e stavi ascoltando la strada e riuscivo a
sentirti respirare, riuscivo a sentire il tuo cuore battere.
Ti ho portato alla macchina e accompagnato a casa ma tu
non avevi alcun senso
Ho fatto una doccia e ho provato a riprendere fiato.
Tu eri sdraiato in sul copriletto
in boxer, a guardare cartoni animati e a ridere ma senza fare alcun suono.
La tua pelle sembrava blu alla luce del televisore.
I tuoi denti sembravano gialli.
Ancora fradicio, mi sono sdraiato accanto a te. Le tue braccia, le tue gambe, il tuo petto nudo, le tue costole marcate come un cane randagio.
Non c’è dove andare, ho pensato. Non c’è dove andare.
Tu sedevi in una vasca da bagno all’ospedale e piangevi.
Dicevi che ti faceva male.
Intendo gli edifici che non erano l’ospedale.
Non avrei dovuto nominare l’ospedale.
Non penso di poter continuare a lungo.
Nel sogno che non racconto a nessuno, tu poggi la testa sul mio grembo.
Diciamo che guidi lungo la strada tenendo gli occhi chiusi
ma anche i miei occhi sono chiusi.
Tu sei sul ciglio della strada.
Tu sei sul ciglio della strada e parli solo tu
mentre io mi fisso le scarpe.
Sono delle belle scarpe, marroni e comode, e la tua voce mi piace.
Nel sogno che non racconto a nessuno, ho paura di svegliarti.
In questi sogni sei sempre tu:
il ragazzo con la felpa,
il ragazzo sul ponte, il ragazzo che mi salva
dal saltare giù dal ponte.
Ah, le cose che inventiamo quando abbiamo paura
e desideriamo essere salvati.
La tua jeep. I tuoi denti. Il caffè che mi hai comprato.
Il sandwich tagliato a metà sul piatto.
Mi sono svegliato e ho mangiato il gelato al buio,
Curvo sulla sedia di legno della cucina,
Ascoltando la pioggia.
Ho preso in prestito le tue scarpe e non le ho tolte.
Tu piangevi mangiando riso.
La superficie dell’acqua era ferma e luminosa.
I tuoi piedi andavano a fuoco, così ho messo le mie mani su di loro, ma le mie mani
pure andavano a fuoco.
Avevi una boccetta di pillole, ma non le ingoiavi.
Mi dicevi Mi amerai ancora di più quando sarò morto?
E io rispondevo No, e lasciavo le pillole sulla sabbia.
Guardale, mi dicevi. Sembrano smeraldi.
Ti mettevo in gabbia con i leopardi. Provavo a ingrassarti
Con salsiccia e bacon.
In un qualche modo scappavi e ti arrampicavi sui rami di un pero.
Lo abbattevo, ma non c’era nessuno dentro.
Andavo sul letto del fiume ad aspettarti.
Non ti sei presentato.
Ho continuato ad aspettare.