Giovedì 24 ottobre 2024, è andato in scena ad Atelier Sì Hahaha Bring Me Back della danzatrice e performer Anna Tierney – apertura della residenza artistica nell’ambito del progetto Artists in Residensì in collaborazione con il programma Nouveau Grand Tour, ideato e concepito dall’Istituto di Francia in Italia (IFI).
Aperte le porte, il palco è vuoto, salvo per alcuni fogli scritti al computer sul pavimento e, come poi si scopre, anche altrove. Sul fondale nero si staglia un grande schermo su cui verrà proiettato in forma scritta il testo pronunciato in francese, sottotitolato in italiano. Anna entra in scena e si sdraia, piedi al pubblico, rivolta verso il foglio più distante. Indossa una tuta in acetato da palestra. Inizia la musica, composta da Dimitra Sofroniou, e poco dopo la voce di Anna amplificata.
Anna si muoverà, per circa 30 minuti, soltanto per passare da un foglio all’altro e leggere il suo contenuto. È il testo che Anna e Antoine Dupuy Larbre, dramaturg del lavoro, hanno scritto quasi interamente durante le due settimane di residenza, ridisegnando parte della storia personale di Anna per creare una figura fittizia che evocasse, attraverso il suo racconto, temi come la costruzione dei corpi, l’emergere del desiderio, l’adolescenza e la formazione, l’identità, la classe sociale di provenienza, l’orientamento sessuale – questioni che la circondano, senza che lei ne sia completamente consapevole.
Questo articolo raccoglie alcuni estratti del testo di Anna Tierney, accompagnati da altre voci scritte da Eugenia Delbue, Caterina Dufì, Eleonora Negrisoli e Caterina Profico, immagini, canzoni.
Se solo potessi essere quello stronzo di Pitbull in una camera d’albergo di merda, pensavo.”
Può tutto un corpo. Rotolare per terra. Mangiare fino allo sfinimento. Camminare nella notte. Espellere fluidi bianchi, gialli, rossi e marroni. Afferrare un microfono. Scivolare. Bere champagne. Sollevare pesi. Scopare ragazze.
Ti chiedi cosa può un corpo di ragazza?
Può tutto un corpo di ragazza. Se solo gli viene concesso. Un corpo di ragazza ha molte regole per amare, mostrarsi, stare seduta, muoversi, vestirsi, parlare. Un corpo di ragazza ha molte regole per desiderare.
Ti chiedi, dunque, cosa succede quando un corpo di ragazza desidera bere champagne, sollevare pesi, scopare ragazze? Quando il suo desiderio – il desiderio di quel corpo – disattende la norma e la racconta nelle sue eccezioni (che non la confermano e, anzi, la sovvertono)?
Melissa Febos, a proposito di scrivere di sé come atto radicale, afferma:
La scrittura è una forma di libertà ben più accessibile di altre, ed esistono forze potenti desiderose di precluderla proprio a quelli che con le loro storie rischiano di sovvertire i regimi su cui la nostra società si regge. Che si fottano. Scrivete della vostra vita.

Gaetano: voglio fare un’ultima domanda, abbiamo parlato della questione dell’immaginazione, della finzione, dell’alter ego, del corpo immaginario, volevo chiedere ad Anna ma un po’ anche a tutte voi, qual è il rapporto tra l’esposizione di questa intimità molto forte e la creazione finzionale di un corpo, di un immaginario, i cui confini sono molto sottili.
Anna: Sì, credo che il centro qui sia proprio creare fiction intorno all’adolescenza e all’evoluzione del corpo e tutta una serie di meccanismi che hanno a che fare con il rapporto con il proprio corpo dall’adolescenza e si tratta di scendere a patti con questi meccanismi, può essere utile ed è proprio un invito quello che faccio: tornare all’adolescenza, prendere degli elementi che stanno lì e usare in un certo senso la finzione, molte cose sono state inventate ma molte cose no, attraverso la fiction lo scopo è vedere il meccanismo, tornare al meccanismo dietro a tutto. C’è la finzione ma è anche molto profondo perché ho toccato temi che sono stati importanti per me.
frammenti dall’incontro con Anna Tierney, Dimitra Sofroniou, Antoine Dupuy Larbre a cura di Eugenia Delbue e Caterina Dufì, svoltosi il 24 ottobre 2024 all’Atelier Sì in seguito allo spettacolo Hahaha Bring Me Back.
Dopo aver ascoltato la musica dalle casse e scolato la bottiglia, ridendo al freddo, ci mettevamo in marcia facendo casino verso il locale. Sembravo sempre più giovane della mia età, non sembravo affatto maggiorenne, ma le guardie di sicurezza se ne fottevano. Mostrai loro una foto della mia carta d’identità in cui avevo cambiato la data di nascita usando lo strumento delle forbici su Snapchat, funzionò. Questo era il posto in cui uscivano i giocatori di rugby della città, che pagavano un extra per essere nell’area VIP ogni weekend. Guardavo i loro toraci da lontano, era tutto ciò che si riusciva a vedere, con le loro magliette bianche attillate che luccicavano nel buio, i loro colli larghi, i loro occhiali da sole, le loro facce rozze che trovavo così disgustose, così erotiche, così muscolose, così terrificanti, con le loro grandi mani sudate. E pensai: se solo avessi potuto| entrare nell’area VIP e sedermi sui piccoli pouf in finta pelle bianca, e ordinare una bottiglia di champagne con i mini fuochi d’artificio e guardarli esplodere, con gli occhiali da sole sul naso e la mia maglietta bianca che luccicava, se solo avessi potuto. Dal retro del club, mi si vedrebbe stappare lo champagne e servirlo al giocatore di rugby più alto e alla sua fidanzata con i capelli lisci.
Dal retro del club, dall’ingresso del club, dai bagni del club, mi si vedrebbe con la mia maglietta bianca sul palco dell’area VIP.
E pensavo tra me e me: sarebbe stato così divertente, sarebbe stato così divertente.”



![Hans Bellmer, The Machine Gun[neress] in a State of Grace](https://i0.wp.com/www.lospazioletterario.it/wp-content/uploads/2025/04/2.Hans-Bellmer.jpg?w=840&ssl=1)
Eugenia D: qual è il corpo o i corpi del futuro, per te? Per voi? Partendo proprio dall’origine di questo fascino verso il muscolo e di quello che significa nella storia della costruzione delle identità, dei generi, e di tutto ciò che conosciamo molto bene, partendo partendo da questo assunto e forse ribaltandolo – come voi ci insegnate a fare – come è il corpo che desideriamo come è il corpo che desideriamo, i corpi che desideriamo?
Anna: Non so rispondere sul corpo del futuro in generale, posso dire del corpo del futuro che vorrei, rispondo per me. […] danzando immagino un corpo che io non posso avere nella vita vera. Creare una finzione attorno al corpo è per avere un altro corpo, altri corpi, è una sorta di alter ego, è un’estensione. Ed è un modo di dargli una forma diversa, ma non a livello materiale, più a livello di sentire.
Antoine: direi, un corpo che non ha paura, il corpo del futuro, il corpo che desidero, è un corpo che sa come materializzare la rabbia.
Dimitra: non sono mai stata troppo sicura del mio corpo, forse è per questo che lavoro con chi balla, con chi danza perché c’è sempre l’idea di poter essere qualcun altro. Il corpo del futuro non so come possa essere, come sarà, ma vorrei che si senta bene con se stesso.
frammenti dall’incontro con Anna Tierney, Dimitra Sofroniou, Antoine Dupuy Larbre a cura di Eugenia Delbue e Caterina Dufì
[…]
Ho iniziato ad allenarmi con i pesi più o meno nello stesso periodo. Prima stavo nella mia camera da letto, da sola davanti allo schermo, e mi esercitavo con i movimenti che avevo visto nel video di “Hotel Room Service”. Come nel videoclip, inarcavo la schiena. Come nel videoclip, spingevo. Come nel videoclip, mi risollevavo. Il ritmo della musica era perfetto, né troppo morbido né troppo rigido. Quando mi sono stancata di urtare contro i mobili, ho fatto un abbonamento in palestra. Fin dal primo giorno ero affascinata dai corpi, dai muscoli, dalle curve, e soprattutto dagli avvallamenti e dalle asperità che si creano in un braccio, in una gamba, volevo lo stesso. Un braccio che non sembra più un braccio, una gamba che non sembra più una gamba, come nel video di Pitbull. Quello che mi piace in palestra, è essere circondata da persone come me e vedere come sollevano le cose. Prendono un oggetto di peso variabile e lo trasportano un certo numero di volte, poi ripetono l’operazione. A me piace sollevare gli oggetti tra le 8 e le 12 volte. Se l’oggetto è molto pesante lo sollevo 6 volte, è sufficiente. Mi guardo sudare allo specchio, osservo i miei tricipiti gonfiarsi, sgonfiarsi, gonfiarsi, sgonfiarsi. Mi piace questo processo, è semplice, lo capisco. Si può andare molto lontano in questo modo, andare molto in profondità nel proprio organismo. Quando sollevo pesi, parlo con i miei organi, insegno loro come fare. Dico loro: è così che deve funzionare. Ricevono così ogni tipo di informazione, che elaborano con attenzione. Quando parlo con loro, sento che mi ascoltano, non gorgogliano più, stanno zitti, e quando tutto è finito, tutto ricomincia.
Io mi alleno, loro stanno zitti, io mi riposo, loro si attivano.
Per tutta la mia vita di ragazza, sono stata affascinata dai corpi, da quelli che mi assomigliano e da quelli che non mi assomigliano. Quando ripenso a Pitbull e ai giocatori di rugby dei miei ricordi, capisco il loro piacere a distanza di molti anni, provo lo stesso piacere: contraendo, sollevando, caricando, nulla in noi è sconosciuto, nulla in noi è mostruoso.”
Che sia il corpo degno di presentarsi al cospetto della morte, una splendida, radiosa opera “organica” sottratta alle corruzioni del linguaggio, i cui muscoli possiedono la traccia di una sorta di astrazione, o, per contrario, il corpo che esercita quotidianamente gruppi muscolari fino al cedimento e si modella a fronte dell’inesorabile movimento della materia verso il fallimento finale, la morte – questo corpo ha una propria forma di pensiero, ha un linguaggio, ed è senza parole.
Anna Tierney passa tra questi temi con una grazia che fa abbassare lo sguardo. Questa almeno è la sensazione che viene dalla sua voce. In lei il suo “io” si confonde con l’io narrante, ma come per distacco. La voce sa qual è il proprio spazio rispetto al dire, non c’è separazione, non c’è affezione, e ascoltandola pare avviarsi senza alcuno sforzo un viaggio immaginativo interiore, su una persona di cui ci importa. È così umana da assomigliare per presenza di dettagli, per sincerità, a qualsiasi voce interiore, anche alla propria. La figura appare per parole soltanto, parole scritte che vengono lette da fogli sparsi sul palcoscenico e, tra le altre cose, dice che sta lentamente svuotando il suo corpo, dice di come, proprio attraverso le parole, parlando al suo corpo, lo abbandoni.
Hahaha Bring Me Back è un solo di danza, scritto e interpretato da una danzatrice, ed è un monologo. Non avviene nulla di assimilabile ai “linguaggi del corpo” dei nostri festival, ma si ha la netta sensazione che non sia una postura concettuale. C’è una forma di serietà, come di tenuta, del racconto, del pensiero e della riflessione, che non la induce a muoversi oltre ai semplici spostamenti che la fanno passare da un foglio all’altro, per leggerli.
Fin dall’inizio, il corpo di Anna emana un potenziale di movimento che non si compie, neanche con il procedere del racconto, neanche con l’aprirsi finale di “Hotel Room Service”. Mentre la si osserva, qualcosa in platea accade e cresce in modo viscerale.
Sarà forse difficile raccontarlo. Hahaha Bring Me Back è un solo che della danza tratta la sua essenza – il desiderio di muoversi – e ne parla al corpo, con il linguaggio del corpo, né con quello che si vede, né con quello che si ascolta, forse con quello che si sente. Sembra che tutto alluda alla danza, che la danza sia presente come desiderio incarnato, e che non sia né di là né di qua del proscenio, ma dappertutto e incontenibile.

Kathy Acker afferma:
Il bodybuilding è un processo, forse uno sport, attraverso il quale una persona modella il proprio corpo.
E ancora:
Alcuni bodybuilder hanno detto che il bodybuilding è una forma di meditazione.
Infine:
Nella nostra cultura, feticizziamo e allo stesso tempo disprezziamo l’atleta, un lavoratore del corpo. Perché viviamo ancora sotto il segno di Cartesio. Questo segno è anche il segno del patriarcato. Finché continueremo a considerare il corpo, soggetto a cambiamento, caso e morte, come qualcosa di disgustoso e ostile, continueremo a percepirci come pericolosi estranei.
Ti chiedi cosa potrebbe un corpo di ragazza liberato da secoli di oppressione patriarcale, di assoggettamento della mente?

Eugenia G.: Parliamo spesso della mostruosità del corpo femminile queer lesbico, io ho avuto la sensazione che in questo testo si parlasse dell’atto del sollevare pesi come di una possibilità di contenere, dare un perimetro a questa mostruosità.
Anna: Sì, credo che il centro qui sia proprio creare fiction intorno all’adolescenza e all’evoluzione del corpo e tutta una serie di meccanismi che hanno a che fare con il rapporto con il proprio corpo dall’adolescenza e si tratta di scendere a patti con questi meccanismi, può essere utile ed è proprio un invito quello che faccio: tornare all’adolescenza, prendere degli elementi che stanno lì e usare in un certo senso la finzione, molte cose sono state inventate ma molte cose no, attraverso la fiction lo scopo è vedere il meccanismo, tornare al meccanismo dietro a tutto. C’è la finzione ma è anche molto profondo perché ho toccato temi che sono stati importanti per me.
frammenti dall’incontro con Anna Tierney, Dimitra Sofroniou, Antoine Dupuy Larbre a cura di Eugenia Delbue e Caterina Dufì
Nell’aria rimane solo il residuo del movimento, l’eco di un’azione quasi dovuta, che nessuno ha coraggio di compiere. Sembra di vivere tutt3 nello spazio sottile tra le labbra di Anna e il microfono, in diserzione.
“Forget about your boyfriend and meet me at the hotel room
You can bring your girlfriends and meet me at the hotel room”
[Pitbull, “Hotel Room Service”, 2009]
Si alza il volume della musica, chiudo gli occhi e per un attimo – uno solo – sento il peso di un orologio d’oro al polso, il calore delle luci soffuse, l’odore dolciastro dello champagne versato sul tappeto.
Per un attimo – uno solo – sono con Anna tutto quello che il mio corpo non dovrebbe e non potrebbe.
Scaraventata dal dolce spazio sottile della sua voce, nel limbo tra 126 e 128 BPM che marcano il tempo del pezzo, come una confortevole ipnosi, il testo si frantuma in puri fonemi. Stiamo oscillando tutti nella stanza mentre Pitbull ripete le stesse quattro frasi su quaternari ripetitivi, pare che la musica attraversi i nostri corpi senza lasciare nulla di scritto, come un’amante che sparirà al mattino, una discoteca di provincia che chiuderà di colpo, un corpo che smetterà di urlarci contro mentre è impegnato a sollevare pesi.
“Mi sono detta: i miei organi non hanno abbastanza spazio per i miei ricordi.
Così a poco a poco li ho svuotati.”

Ringraziamo Anna Tierney per averci consentito di pubblicare il suo testo e di aprire finestre di immaginazione su Hahaha Bring Me Back. Anna continuerà a lavorare al progetto e a portarlo in scena. Questo autunno sarà in residenza a Tarbes, grazie al supporto di TRAVERSE, Cie SANS6T e Scène Nationale de Tarbes, con un esito aperto al pubblico presso Le Parvis (Scène Nationale Tarbes Pyrénées).
* La traduzione del testo francese di Anna Tierney è a cura di Elena Strappato, Eugenia Delbue e Caterina Dufì.
La traduzione del testo di Melissa Febos (Questa mia carne. Scrivere di sé come atto radicale, Nottetempo 2024) è a cura di Federica Principi.
Nel testo si fa riferimento anche a: Kathy Acker (Against Ordinary Language: The Language of the Body, 1993) e Yukio Mishima (Sole e acciaio, 1970).