Sei poesie di Gerardo Rodríguez Salas

Introduzione e traduzioni dallo spagnolo a cura di Matteo Cardillo.

Per definizione, l’anacronia è uno sfasamento temporale, un errore lungo la linea del tempo. In ambito narrativo, provoca uno stridore tra fabula e intreccio. Nel processo temporale di dilatazione e cristallizzazione di eventi, persone e cose, la memoria diventa il cursore attraverso il quale potersi muovere tra passato e presente senza smarrirsi nelle anacronie dell’assenza. In Anacronia (Valaparaíso Ediciones, 2020), prima raccolta poetica dello scrittore e accademico granadino Gerardo Rodríguez Salas, presente e passato sono due dimensioni simultanee, le superfici speculari di un nastro di Moebius che pur non toccandosi si confrontano, si intersecano e si criticano a vicenda, con il fine ultimo di raggiungere una catarsi (forse) impossibile: il superamento del trauma per la perdita di una persona amata. La persistenza della morte riecheggia costantemente nel presente, ma è anacronistica se accostata alla vita che continua a fluire indisturbata. Il libro è strutturato come un viaggio a ritroso; nel primo componimento, Odisea, che inaugura i molteplici riferimenti omerici presenti nella raccolta (si veda Sirenas, prima poesia qui tradotta), si salpa – o si fugge – dal presente per raggiungere il passato e scendere a compromessi con un dolore irrisolto. Il filo conduttore capace di cucire insieme le varie immagini che come schegge emergono dai testi di Anacronia è biografico e famigliare: nonne che preparano fette di anguria per rinfrescarsi dalla calura estiva, traversate oltreoceano, salme sporche di olio di motore, grida soffocate, notti dove il silenzio della solitudine si fa ingombrante, fantasmi silenziosi, e soprattutto un legame spezzato da una morte improvvisa, quella del fratello Javi in un incidente di moto nel 2001. Sono stati necessari vent’anni a Rodríguez Salas per verbalizzare il dolore e trovare gli strumenti per una lunga, riconciliatoria elaborazione. Al viaggio nella cartografia interiore della memoria si accompagna il viaggio reale in Nuova Zelanda, culla della cultura e della mitologia Maori, nonché patria di Katherine Mansfield, una scrittrice di riferimento per Rodríguez Salas. Nella poesia Leslie, l’autore intrattiene un dialogo intertestuale con i carteggi e i diari della scrittrice neozelandese, che aveva perso il fratello Leslie Mansfield durante la prima guerra mondiale. L’esperienza e le parole di un’autrice amata diventano lo specchio in cui riflettere il trauma della propria perdita. Così, dopo vent’anni e in terra straniera, si dispiega il lavoro del lutto, che è il lavoro per eccellenza della scrittura.


Anacronìa, pubblicato in Spagna nel novembre 2020 presso l’editore Valparaíso e finalista nella sezione poesia del XXVII Premio Andalucía de la Crítica è il secondo libro di Gerardo Rodríguez Salas. Risale al 2017, infatti, l’esordio in prosa Hijas de un sueño (Esdrújula), una raccolta di racconti in cui l’autore restituisce visibilità alla cultura e alla memoria orale andaluse, ambientando le storie a Candiles, un paese fittizio che può ricordare nelle atmosfere e nelle figure femminili la Macondo spazzata via dal vento di cui scriveva García Marquez.


Da Anacronìa, 2020

Sirenas

No conseguí decir que estabas muerto.
Se trabó la palabra en mi garganta,
aquel olor a túmulo y a flores,
a cirios apagados, tu sonrisa
deshilada en el manto misterioso
que te envolvió en el sueño.
Te anunciaron sirenas
prendiendo la calzada,
que olía a sangre y gasolina.
¿Quién escapa a su canto?
¡Atadme al mástil
pues no respondo, marineros!
Nada hacia la ambulancia nuestra madre
sin salvavidas,
se derrite la cera en sus oídos.
Aquella tarde rueda en mi cabeza,
resbala por laderas escarpadas
la pesadilla, veo aún
la cicatriz del quitamiedos
y el casco rojo.
No conseguí decir que estabas muerto.

Sirene

Non sono riuscito a dire che eri morto.
La parola mi si è aggrappata in gola,
quell’odore di tumulo e fiori,
di ceri spenti, il tuo sorriso
sfilacciato nel misterioso mantello
che ti ha avvolto nel sonno.
Ti hanno annunciato le sirene
incendiando la strada,
che sapeva di sangue e benzina.
Chi sfugge al loro canto?
Legatemi all’albero
che non rispondo, marinai!
Nuota verso l’ambulanza nostra madre
senza salvagente,
le si scioglie la cera nelle orecchie.
Quel pomeriggio rotola nella mia testa,
scivola lungo pendii ripidi
l’incubo, vedo ancora
la cicatrice del guardrail
e il casco rosso.
Non sono riuscito a dire che eri morto.

Palabras de papel

Busco palabras,
nombrar este dolor
que se despeña
por un catálogo de voces mudas,
sentimientos de aceite que flotan en el agua
podrida que me anega.
Busco palabras,
nombrar la mariposa
que vuela lejos, lejos de estas páginas
reales y eruditas,
frías como el papel
que me hace cortes en los dedos.
Busco palabras que te invoquen,
palabras que
huelan a ti,
suenen a ti,
sepan a ti,
pero las letras se hacen humo
y el fuego quema tanto
que no sé si la bruja que crepita
tendrá tu rostro
o el mío.

Parole di carta

Cerco parole,
per dare un nome a questo dolore
che precipita
per un catalogo di voci mute,
sensazioni di olio che fluttua nell’acqua
marcia che mi sommerge.
Cerco parole,
che diano nome alla farfalla
che vola lontano, lontano da queste pagine
reali ed erudite,
fredde come la carta
che mi lascia tagli sulle dita.
Cerco parole che ti invochino,
parole che
odorino di te,
che suonino come te,
che sappiano di te,
ma le frasi vanno in fumo
e il fuoco brucia così tanto
che non so se la strega crepitante
avrà il tuo volto
oppure il mio.

Escalera de agua

No hay grito más atroz que el del silencio
ni arrullo más genuino que el del agua,
no hay diques que contengan el ayer,
ni saltos, ni fronteras arbitrarias,
no hay olvido en el musgo ni rigor en la roca,
no bajo los peldaños, ni lloro por tu ausencia,
pues soy gota del río cristalino
que, fundida en tus dedos, abraza la ciudad.

Scala d’acqua

Non c’è grido più atroce del silenzio
né una nenia più genuina dell’acqua,
nessuna diga per contenere ieri,
nessun salto, nessun confine arbitrario,
non c’è oblio nel muschio né rigore nella roccia,
non scendo i gradini, né piango la tua assenza,
ché io sono una goccia del fiume di cristallo
che, fusa tra le tue dita, avvolge la città.

Hongi

Aquella noche no llovía
sólo en la calle.
Compartimos la cama como extraños
– la misma lluvia,
la misma pena –
pues ni el sol de tu pecho
prendió el cuarto anegado
mientras tus palmas
achicaban el agua de la alcoba
lamiéndome la piel.
Aquella noche no llovía
sólo en la calle.
Dejaste en el olvido
la hombría de tu tribu para entrar
en mis pupilas, para abrir
las puertas de tu mundo.
Rozamos la nariz y respiramos
– la misma brisa
al mismo tiempo.
Aquella noche no llovía
sólo en la calle.
En mi pueblo llovía, y en el tuyo
– la misma lluvia –
y el arca que forjamos
en la penumbra
surcó las olas.

Hongi

Quella notte non ha piovuto
solo in strada.
Abbiamo condiviso il letto come estranei
– stessa pioggia,
stesso dolore –
perché nemmeno il sole sul tuo petto
ha illuminato la stanza allagata
mentre i tuoi palmi
stavano tirando fuori l’acqua dall’alcova
lambendomi la pelle.
Quella notte non ha piovuto
solo in strada.
Hai lasciato nell’oblio
la virilità della vostra tribù per entrare
nelle mie pupille, per aprire
le porte del tuo mondo.
Ci strofiniamo il naso e respiriamo
– stessa brezza
allo stesso tempo.
Quella notte non ha piovuto
solo in strada.
Nel mio paese pioveva, e nel tuo
– stessa pioggia –
e l’arca che abbiamo forgiato
nell’oscurità
ha cavalcato le onde.

Nunca

El olvido es el pájaro que vuela
bajo el suelo
sumido en las raíces infinitas
del árbol deshojado.
El olvido es la anciana con los ojos vacíos,
las arañas que tejen nuevos párpados
cerrados, nuevos duendes
que urden bruma
en las ramas del mito.
El olvido es el diente que desgarra la noche
que sangra moribunda,
que llora gotas negras
que no se ven pero que gritan
sin voz y que arden húmedas
dentro, muy dentro…
¿Quién es la antípoda de quién
si tú saltaste al mar desde aquel árbol
saliéndote del mapa sin dejar
siquiera anchura a este vacío?
El recuerdo es la sombra
torpemente zurcida a los talones
y el olvido la piedra
que no termina nunca de caer.

Mai

L’oblio è il passero che vola
sotto terra
affondato nelle radici infinite
dell’albero spogliato.
L’oblio è la vecchia con gli occhi vuoti,
i ragni che tessono nuove palpebre
chiuse, nuovi elfi
che intrecciano la nebbia
tra i rami del mito.
L’oblio è il dente che lacera la notte
che sanguina moribonda,
che piange lacrime nere
che non si vedono ma che urlano
senza voce e bruciano umide
dentro, nel profondo…
Chi è l’antipodo di chi
se ti sei lanciato in mare da quell’albero
uscendo dalla mappa senza lasciare
nessun margine a questo vuoto?
Il ricordo è l’ombra
maldestramente rammendata ai talloni
e l’oblio la pietra
che non smette mai di cadere.

Copertina di Anacronía di Gerardo Rodríguez Salas