“Se il sole tramonta, qualcosa ne saprà”: Sonderkommando di Yiannis Stiggas

Introduzione e traduzioni dal greco moderno a cura di Vassilina Avramidi.

In Negotiating with the Dead, Margaret Atwood descrive l’esperienza della scrittura come «un rischioso viaggio nell’aldilà», con l’obiettivo orfico di riportare alla luce le voci disperse nel regno dei morti.1 Le sfide, però, non intimoriscono il poeta greco Yiannis Stiggas, che intraprende la discesa agli inferi dei crematori, per dar voce agli incompresi della Shoah. I testi di Sonderkommando (Άγρα, 2023) emanano un male che è tutt’altro che banale: i personaggi principali sono, appunto, i membri delle squadre speciali composte da quei detenuti ebrei che nei campi di concentramento venivano obbligati dai nazisti, sotto minaccia di morte immediata, a collaborare allo sterminio del loro stesso popolo.

Nei versi di Stiggas, i Sonderkommando formano un coro inusuale, e cantano «con la morte adosso»2 le torture che continuano a subire, da uno strano luogo in cui il tempo ha smesso di scorrere. Anzi, sono proprio loro a dover spingere la Ruota del Tempo, costretti forzatamente a lavorare anche post mortem. Alle liriche corali si alternano singole poesie-incontri tra il soggetto poetico e personaggi ben noti del Terzo Reich, o intellettuali sopravvissuti al genocidio. Ne «L’angelo bianco», le memorie di Josef Mengele si intrecciano con quelle universitarie dello stesso Stiggas che, ancora studente, sradica il cuore di una rana, e lo sente fantasmaticamente battere sulle proprie unghie per ore, ancora e ancora.3 Qualche pagina dopo, si palesa Jean Améry, per dare al poeta qualche consiglio di scrittura: «mi manca solo un tuo verso», gli dice, «ciò che scrivevi da piccolo / che il sangue si sparge / sempre in tempo presente» («απλώς μου λείπει ένας στίχος σου / εκείνο που ‘γραφες μικρός / ότι το αίμα χύνεται / πάντα στον ενεστώτα»). Proprio al presente ci parla ancora Adolf Eichmann, che ignaro del suo status attuale cerca disperatamente i prossimi capri espiatori negli elementi naturali.

Dal collage di Soña Spitzová sulla parte anteriore della copertina, al disegno di František Brozan sul retro,4 morti ad Auschwitz all’età di tredici e undici anni rispettivamente, Sonderkommando si configura come «un luogo di lamento» (« τόπος οιμωγής»), e il lettore spesso condivide il sentimento di «imbarazzo» («αμηχανία») del poeta, preannunciato in esergo: «questo Mondo / ho balbettato / è specchio del mio imbarazzo» («αυτός ο Κόσμος / ψέλλισα / είναι φτυστός η αμηχανία μου»). Rimane ancora da capire se, tra i versi di Stiggas, imbottiti di memoria e di storia, riusciremo a trovare anche «calore nei colori».

Yiannis Stiggas, Sonderkommando

Sonderkommando, p. 14-15

Κατά τ’άλλα βαριόμαστε
εδώ κάτω
ο Χρόνος είναι χειροκίνητος
γυρνάμε τον τροχό για τον Τροχό
και συνθλίβουμε
                          τούτη την Άνοιξη
κλείνοντας το μάτι στην επόμενη

κατά τ’άλλα
η εργασία απελευθερώνει
(μισή αλήθεια που σκουριάζει – την ίδια ώρα
που οι ολόκληρες γίνονται λίπασμα)
Ύστερα πέφτει μια ψιλή βροχούλα
και ιδού
              ο ασφόδελος Μιχαήλ
ιδού
              η λυγαριά Μαρία
με τα μακριά ικετευτικά κλαριά
Άααχ
αγαπήσαμε τη φύση
              για τους λάθους λόγους
στις τρεις διδαχές
              οι δυο είναι κάτεργο

– αδυνατώ να το εξηγήσω αυτό –

Αλλά
για να δύει ο ήλιος
κάτι θα ξέρει.

Sonderkommando, p. 14-15

Per il resto ci annoiamo
qui sotto
il Tempo è manuale
giriamo la ruota per la Ruota
e schiacciamo
                          questa Primavera
strizzando l’occhio alla prossima

per il resto
il lavoro rende liberi
(mezza verità che si ossida – mentre
quelle intere si fanno concime)
Dopo cade una pioggerellina
ed ecco
              Michele, l’asfodelo
ecco
              Maria, l’agnocasto
dai rami lunghi, supplicanti
Aaah
amavamo la natura
              per le ragioni sbagliate
sui tre insegnamenti
              due sono torture

– questo non riesco a spiegarmelo –

Però
se il sole tramonta
qualcosa ne saprà.

Sonderkommando, p. 30

Δεν έχω αμφιβολίες πια
η γλώσσα μου θα γίνει βυσσινιά
θα βρούμε θαλπωρή στα χρώματα.
Δυο σαλαμάνδρες καταπράσινες
θα δικαιώσουν – εν αγνοία μου – το κρανίο μου
αργότερα θα ερωτευτούν
           La vita nuova!
La vita nuova, μέσα στ’ατάραχο μυαλό
      του μαυρομπούμπουρα
Φέρνει πέντ’-έξι σβούρες
                      και σωριάζεται
σαν τιποτένιος στις καμέλιες

θα σας ξανάρθω
σύντομα

Εχθές στο συρματόπλεγμα
καθόταν κόκκινο υμενόπτερο,
πλησίασα δειλά
                         δειλά
στιγμούλα δεν πετάρισε –

το φίλησα στο στόμα.

Sonderkommando, p. 30

Non ho più dubbi
avrò la lingua color amarena
troveremo calore nei colori.
Due salamandre verdissime
riabiliteranno – a mia insaputa – le mie ossa
più tardi si innamoreranno
           La vita nova!
La vita nοva, dentro la mente serena
      del calabrone nero
Fa cinque-sei giri
                      e poi crolla
come un nulla sulle camelie

tornerò a trovarvi
presto

Ieri sul filo spinato
si sedeva imenottero rosso,
l’ho avvicinato con timore
                         con pudore
– non ha battuto ciglio

gli ho dato un bacio in bocca.

Η θλιβερή πασιέντζα του Αϊχμαν

Δεν ξέρω τι γυρεύω εδώ

Το Έλεος δεν έχει μηχανή
          δεν έχει
ούτε ένα τόσο δα γρανάζι
κι εγώ ήμουν γραναζάκι πάντοτε
μαθήτευσα να φέρνω
τέλειους κύκλους
            να συμπλέκομαι
μ’ άλλα γρανάζια μεγαλύτερα
με -αν το θες- ιμάντες

Δεν ξέρω τι γυρεύω εδώ

Όταν ζυγίζεις τις ψυχές με την οκά
μοιραία γίνεσαι μπακάλης
-δεν θα ΄χες τύχη στα τεφτέρια μου-
Δεν φταίει ο Βάγκνερ
            φταίει το θρόισμα
δεν φταίν τα τραίνα
           φταιν τα κάρβουνα
-από τι φτιάχνονται τα κάρβουνα;-
φταίνε, σαφώς, τα δέντρα

Οι σοφιστείες μου σκαρφαλώνουν εύκολα
μέχρι τη μεγάλη σοφιστεία:
           τον Θεό
αν θες να τον κρεμάσεις – κρέμασ’ τον

ψευτοφονιά μου,
                          τριτοδεύτερε

το ξέρω θα με χρειαστείς
ίσως σε χίλια χρόνια
όσο βαστά ένα Ράιχ
όσο βαστά το μίσος μου
εγώ θα είμαι εδώ
                          για σένα.

Il triste solitario di Eichmann

Non so che ci faccio qui

La Pietà non ha motore
          non ha
neanche un minimo ingranaggio
ero anch’io ingranaggio minuscolo
ho appreso a tracciare
cerchi perfetti
            ad allacciarmi
con altri ingranaggi più grandi
con -se preferisci- delle cinghie

Non so che ci faccio qui

Quando pesi le anime all’etto
è destino, sarai bottegaio
-non avresti successo nei miei blocchetti-
Non è colpa di Wagner
            è colpa del fruscio
non è colpa dei treni
           è colpa del carbone
-di cos’è fatto il carbone?-
è colpa, certo, degli alberi
I miei sofismi si arrampicano facilmente
fino al grande sofisma:
           Dio
se lo vuoi impiccare – impiccalo

caro finto assassino,
                          farabutto
lo so, ti servirò
forse tra mille anni
per quanto dura un Reich
per quanto dura il mio odio
io sarò qui
                          per te.

  1. Margaret Atwood, Negotiating with the Dead: A Writer on Writing, [Cambridge University Press, 2002] Virago: London, 2009, p. 152. ↩︎
  2. Salmen Gradowski, Sonderkommando. Diario di un crematorio di Auschwitz, 1944, Carlo Saletti, Philippe Mesnard (a cura di), Marsilio: Venezia, 2021. ↩︎
  3. Yiannis Stiggas, Sonderkommando, “Ο λευκός άγγελος”, p. 16-17. ↩︎
  4. Entrambi provenienti da “… I never saw another butterfly…” – Children’s Drawings and Poems from Terezin Concentration Camp 1942-1944, Schocken 1987. ↩︎

“Si ergono (…) devastati i figli dell’amore”. La salvezza non è la destinazione: amore e distruzione nelle poesie di Marina Maggi

Introduzione e traduzioni dallo spagnolo a cura di Virginia Ciampi.

Quindi presa la fanciulla per mano, le disse: «Talitha cumi»; che tradotto vuol dire: «Fanciulla, ti dico: Alzati!». – Marco 5:4

«Talitha cumi», il verso biblico all’inizio di Toda belleza amante que colapsa di Marina Maggi, è una duplice esortazione. Per l’autrice significa, prima di tutto, risorgere da una peste fatale: l’amore. Dall’amore ci si cura amando: il verso ordina anche di amare ancora.

Nel racconto biblico si compie un miracolo, la fanciulla si alza e cammina. Nell’opera ciò non avviene, ma il miracolo si compie lo stesso, non portando, tuttavia, alla salvezza. Seguendo questa interpretazione, i titoli delle tre sezioni appaiono significativi; La nausea del presagio, Salvezza e Il peso del miracolo raccontano il percorso che la febbre d’amore traccia, ovvero quello suggerito dalla citazione di Dylan Thomas nella prima parte: From love´s first fever to her plague… . In questo percorso ciò che importa non è la salvezza: questa è qualcosa che si attraversa, non la destinazione definitiva. Così, la salvezza è l’amore e insieme la distruzione che esso comporta:

il sogno
chino su di sé, perfetto
nella sua menzogna inconfutabile
è un pozzo
dove sentir morire il palpito sacro
con tutta la salvezza della luce
dove affondare nell’ora della gioia.

Il sogno è ciò che conta, e non viene contemplata una esistenza senza amore: vi si preferisce l’annullamento dell’esistenza, l’amare senza esistere. E Marina sembrerebbe essere cosciente di ciò da sempre: ha una voce amorosa potente, che si rifà alla poesia di Lorca, di Dylan Thomas e, infine, alla tradizione biblica, ed ha come risultato una lirica mistica, tragica ma estremamente sensuale.

La sensualità è data anche dai riferimenti naturali, evocativi e alcune volte particolari della natura argentina, come il jacaranda di Noviembre II, gli alami del Salmo descarriado. La natura dei sensi è centrale: si parla spesso di fiori, di usignoli feriti, spezzati, di vento, acqua, fuoco, luce e, soprattutto, sangue. Il sangue scorre dalle vene tagliate ed è il sintomo di una malattia, la peste amorosa, che devasta chi ne è affetto. È un elemento molto utilizzato nella seconda sezione dell’opera, in cui avviene la morte del malato, ovvero dell’innamorato: è anche il simbolo del sacrificio di chi ama; la salvezza è morte che porta al sacro. Nella terza sezione il miracolo non porta alla resurrezione o alla creazione di qualcosa, ma alla redenzione, completa affermazione della sacralità. Il peso del miracolo è il sacrificio che genera il sacro.

La sacralità avvolge chi è stato ucciso o devastato dall’amore e anche la gioventù, perché l’amore provato in gioventù è l’unico in grado di uccidere l’innamorato, di incidere la storia di ognuno (la citazione di Dylan Thomas all’inizio della seconda sezione del libro è: Who kills my history?). La gioventù, dunque, è sacra in virtù della sua fragilità e della potenza delle sue pulsioni ed emozioni, ma anche per la sua finitezza e per la sua condizione effimera. Come il sogno, essa è febbre, alterazione e delirio e determina la nostra esistenza. Ci muoviamo, nei momenti cruciali e più autentici della nostra vita, in uno stato di disperazione che, allo stesso tempo, riesce a farci librare sopra tutto e a toccare altezze impensabili, come scrive l’autrice in Febbre:

Potete vedere che mi immergo,
felice, sotto le acque,
mentre sento che cammino sopra di esse.

Il miracolo della nostra distruzione si compie. È l’amore che ci fa morire, ma è l’amore che conta. Marina esprime ciò con una lingua immaginifica, incisiva e mai banale, che ricorda la potenza dei versi biblici ma fluisce con leggerezza.


Noviembre II

Ya ves, jacarandá, la misa la dio el viento.
Es como si enterrase para siempre la risa,
no sé a dónde volver para encontrar mi sangre.

En lo perdido hallo, inexistente y fijo,
bellísimo tu rostro, como un puñal de sueño:
qué poderosa es la memoria de la carne.

Noviembre sin amor noviembre para nadie,
cayendo sin derrumbe, eterna colapsada
ácida, amanecida, enferma de paciencia;

el cáncer de la espera, perro negro sin alba,
y yo nombrando el aire, colmada de limosnas,
cándida en el ocaso, oscura mariposa,
cadáver incendiado que resucita y canta.

Novembre II

Vedi, jacaranda, la messa l’ha detta il vento.
È come se sotterrasse per sempre il riso,
non so dove tornare per trovare il mio sangue.

Nelle cose perdute scopro, inesistente e fisso,
bellissimo il tuo volto, come un pugnale di sogno:
ché potente è la memoria della carne.

Novembre senza amore novembre per nessuno,
che io cado senza dirupo, eterna collassata
acida, insonne, ammalata di pazienza;

il cancro dell’attesa, cane nero senza alba,
ed io che nomino l’aria, colma di elemosine,
candida nel tramonto, oscura farfalla,
cadavere incendiato che resuscita e canta.

Salmo descarriado

Atraviesan
desnudos en su visión
los campos arruinados.
Descalzos, desalados,
salvados para siempre
del golpe imperdonable de la juventud.

El sueño
inclinado sobre sí, perfecto
en su mentira irrefutable
es un pozo
donde sentir morir el pálpito sagrado
con todo lo salvaje de la luz
hundiéndose en la hora de la dicha.

Se yerguen
como álamos ausentes calcinados
los estragados hijos del amor

Salmo dannato

Attraversano
nudi nella loro visione
i campi in rovina.

scalzi, smaniosi
salvi per sempre
dal golpe imperdonabile della gioventù

il sogno
chino su di sé, perfetto
nella sua menzogna inconfutabile
è un pozzo
dove sentir morire il palpito sacro
con tutta la salvezza della luce
dove affondare nell’ora della gioia

Si ergono
come alami assenti bruciati
devastati i figli dell’amore.

Fiebre

Pueden ver que me hundo
feliz, bajo las aguas,
sintiendo que camino sobre ellas

Febbre

Potete vedere che mi immergo,
felice, sotto le acque,
mentre sento che cammino sopra di esse.

Nostalgia del retorno

Cuando te vayas
se abrirán los párpados de la sangre y el agua,
se precipitará el pulso hasta quebrar el alba
y los huesos desnudos florecerán sin miedo.

Cuando te vayas
vendrá mi cruel infancia a torturar los muertos,
las heridas sedientas delirarán su fuego
y Eva será mordida por ingenuas manzanas.

Cuando te vayas
volverán los aniquiladores secretos,
las estatuas de viento bailarán con tu ausencia
hasta marearla.

Cuando te vayas
el corazón tomado por el cáncer del verbo
hará versos hambrientos,
rimas sucias y heladas.

Cuando te vayas
mendigaré veneno
para no tener que ver volver la primavera,
y soñaré suicidios de alturas colapsadas.

Sé qué sucederá cuando te vayas
porque partiste ya, lejos:
yo fui la que robó la costilla del tiempo
para que regresaras.

Nostalgia del ritorno

Quando te ne andrai,
si apriranno le palpebre del sangue e dell’acqua,
si precipiterà il battito fino a spaccare l’alba,
e le ossa nude fioriranno senza paura.

Quando te ne andrai,
verrà la mia crudele infanzia a torturare i morti,
le ferite assetate delireranno il loro fuoco,
ed Eva sarà morsa da mele ingenue.

Quando te ne andrai
torneranno i segreti distruttori,
le statue del vento balleranno con la tua assenza
fino a nausearla.

Quando te ne andrai
Il cuore preso dal cancro del verbo
scriverà versi famelici,
rime sporche e gelate.

Quando te ne andrai
mendicherò veleno
per non dover vedere tornare la primavera,
e sognerò suicidi da altezze collassate.

So cosa succederà quando te ne andrai,
perché sei già partito, lontano;
sono stata quella che ha rubato la costola del tempo
perché tornassi.

Toda belleza amante que colapsa

El cauce desangrado de la luz
soñó la adolescencia de tu nombre.
Tu ausencia iba clamando ya en los ojos
la golondrina herida de mi sangre.

Y si tuve otra edad,
aquélla fue tu infancia;
tu infancia, un claroscuro que en mi boca
se presagiaba flor apabullante.

Fui fantasma extasiado bajo el cielo perenne
y galería exacta y puñal desterrado
y eterna duermevela de los labios errantes.

Noches de estío azul, sin pronunciarme ángel
le prometí a mi muerte la sombra de tus manos.
El aliento esculpí del viento nacarado,
forjé tu forma indemne desgarrándome el aire.

Verano nuestro, pájaro por siempre herido,
sobrevolá lo inútil del aliento saciado;
vienen hasta nosotros los días implorantes,
los últimos espasmos de juventud sagrada.

Tutta la bellezza amante che collassa

Il canale dissanguato della luce
sognò l’adolescenza del tuo nome.
La tua assenza già richiamava negli occhi
la rondine ferita del mio sangue.

E se mai ho avuto un’altra età,
quella fu la tua infanzia;
la tua infanzia, un chiaroscuro che nella mia bocca
si presagiva fiore travolgente.

Fui fantasma estasiato sotto il cielo perenne
e galleria esatta e pugnale bandito
ed eterno dormiveglia delle labbra erranti.

Notti di azzurra estate, senza annunciarmi angelo
promisi alla mia morte l’ombra delle tue mani.
Il respiro scolpì dal vento perlaceo,
forgiò la tua forma indenne strappandomi l’aria.

Nostra estate, usignolo ferito per sempre,
sorvola l’inutilità dell’alito sazio;
si avvicinano a noi i giorni imploranti,
gli ultimi spasmi della gioventù sacra.