“Sono pro-pronipote della schiavitù, pronipote del meticciato, nipote dell’indipendenza e figlia della diaspora.”
È attraverso l’incontro di piani temporali, genealogie di oppressione e memorie familiari che Yara Nakahanda Monteiro cerca di definire la sua identità. Nata nel 1979 in Angola, nella provincia di Huambo, a due anni si trasferisce con la famiglia in Portogallo. Yara cresce in una casa in cui i vecchi documenti dell’ufficio del nonno, gli album di famiglia ricolmi di fotografie e le cartine geografiche del continente africano evocano costantemente i fantasmi del colonialismo portoghese in Angola, conclusosi nel 1974 a seguito della Rivoluzione dei garofani. In bilico tra le memorie africane di seconda mano della famiglia e la vita in un Portogallo ostile ai figli degli immigrati dalle ex colonie, Yara deicide di utilizzare la letteratura come strumento di interpretazione del presente. Dopo il suo primo romanzo (‘Sta tipa spacca!, nella traduzione italiana pubblicata nel 2021 da Edizioni dell’Urogallo), l’autrice debutta con il suo primo libro di poesia, Memórias Aparições Arritmias (Penguin Livros, 2021), che riunisce componimenti già precedentemente pubblicati in diverse riviste brasiliane, portoghesi e del continente africano. La critica ha definito Memórias Aparições Arritmias come una raccolta di poesia decoloniale ed ecofemminista. Unendo l’oralità della tradizione angolana e i costumi poetici occidentali, la poesia di Yara Nakahanda Monteiro trasporta il lettore in altri tempi e spazi: muovendosi tra memorie intergenerazionali e vicende autobiografiche, l’autrice ricorda simultaneamente l’’infanzia trascorsa nella periferia di Lisbona e le storie di vita in Angola raccontate da sua nonna. E da queste memorie Yara evoca fantasmi che infestano il nostro presente: la diaspora, l’esilio, le condizioni di vita delle comunità afrodiscendenti, la violenza contro le donne, gli spettri del colonialismo reincarnati nel razzismo strutturale e quotidiano, la questione della nazionalità, la ricerca identitaria attraverso l’arte. Europea o africana? “Sono solita dire” – afferma Yara – “che le mie radici sono africane, angolane, ma le mie ali sono europee, sono portoghesi”. Nutrite dalle ombre del passato, le sue parole si trasformano in evocazioni, apparizioni, palpitazioni, aritmie cardiache, macchie confuse, ricordi vaghi, inquietudini scarabocchiate in un quaderno interminabile in cui i confini tra passato e presente, tra Europa e Africa, tra sogno e realtà sfumano, diventando altro: poesia.
Descarnar memórias
Esboço na retina de Mnemosine tempo antigo a maturar:
sílabas recortadas e vozes anuladas;
[oiço minha avó velha]
palavras defuntas
ortografadas na calçada coberta por poeira,
terra descontinuada
[leio meu avô]
reflexos no cacimbo, dia de festa,
bestas engravatadas, crianças, mulheres descalças;
[vejo anónimos]
e sonhos trémulos,
trespassados pelo exílio apartado do amor colorido
dos gladíolos em flor,
e sua glória.
[ameigo seus ecos retalhados]
O tempo sagaz empilha as folhas rubras caídas das acácias.
Corre em mim o mesmo sangue.
Trajo a reverência aos antepassados: panos e chifre de boi.
Primeiro, no tempo nascente, percorro as casas decompostas
deixadas para trás.
Procuro o escalpelo, talhado
com o sacrifício das nossas lágrimas.
Depois,
no chão estendo
o manto negro ruborizado.
Arranjo memórias em película aderente.
Retiro-lhes a pele.
Chegam os espectros ressoando ladainhas,
benzendo-me com seus risos,
batendo com os pés escuros
na dureza da nova terra.
Juntos descarnam-se as memórias
enquanto das
veias e artérias jorram
repuxos nutridos
a óleo de palma.
No piscar de olhos da titânide, bebo água do rio Lete.
Há esquecimentos que vêm por bem.
Scarnificare memorie
Abbozzo nella retina di Mnemosine un tempo antico da elaborare:
sillabe troncate e voci annullate;
[sento la mia vecchia nonna]
parole defunte
sillabate sul selciato coperto di polvere,
terra discontinua;
[leggo mio nonno]
riflessi nel cacimbo, giorno festivo,
bestie incravattate, bambini, donne scalze;
[vedo anonimi]
e sogni tremolanti,
trapassati dall’esilio lontano dell’amore colorato
dai gladioli in fiore,
e dalla sua gloria.
[accarezzo i suoi echi frammentati]
Sagace, il tempo impila le foglie rosse cadute dalle acacie.
Scorre in me lo stesso sangue.
Vesto il rispetto dei miei antenati: panni e corna di bue.
Prima, al levar del tempo, percorro le case decomposte
lasciate indietro.
Cerco il bisturi, forgiato
col sacrificio delle nostre lacrime.
Poi,
a terra stendo
uno scuro manto arrossato.
Sistemo memorie su pellicole aderenti.
Le spello.
Arrivano gli spettri riecheggiando litanie,
benedicendomi con le loro risate,
battendo i loro piedi scuri
sulla dura e nuova terra.
Insieme scarnifichiamo memorie
mentre dalle
vene e arterie sgorgano
getti nutriti
dall’olio di palma.
Allo strizzar d’occhio della titanide, bevo acqua dal fiume Lete.
Dimenticare, alle volte, fa bene.
Outrora
Lembras?
Quando eras bicho do céu,
bicho da água, bicho da mata, bicho do âmago?
Lembras
a inteireza da nossa casa, do tempo antigo
onde aflorava a vida?
Nossos corpos feitos de terra,
nossos gestos livres, coloridos, irrigados
com a saliva do torrão.
Gestos ainda por analisar, estruturar,
matematizar…
Junto dos teus, que são os nossos,
pulsando imersos
fazendo mundo, criando cosmos?
Nós, os do começo.
Lembras?
No meu colo
mamaste
a seiva verde dos meus potes.
Sugaste
o tanto de caudal vivo transmutado nos casulos.
Farejaste
por entre as colinas
pujança dos campos floridos, matas adensadas.
Tateaste
os caminhos divinos abertos pelos rios neste vasto corpo.
Abriste
rachas, feridas,
ávido de mais, sempre mais,
criatura com fome.
Nem adeus te pude fazer.
Hoje chegas e matas-me.
Lembras?
Não lembras.
… e fui eu quem te pariu.
Un tempo
Ricordi?
Quando eri animale del cielo,
animale d’acqua, animale della foresta, animale del nocciolo?
Ricordi
l’integrità della nostra casa, del tempo antico
dove affiorava la vita?
I nostri corpi fatti di terra,
i nostri gesti liberi, colorati, irrigati
con la saliva del suolo.
Gesti ancora da analizzare, strutturare,
matematizzare…
Gesti tuoi, che diventano nostri,
pulsando sommersi,
tessendo mondi, creando cosmi?
Noi, quelli dei primordi.
Ricordi?
Tra le mie braccia
hai poppato
la verde linfa delle mie riserve.
Hai succhiato
un intero torrente vivo trasformato in bozzoli.
Hai fiutato
tra le colline
il vigore dei campi fioriti, foreste addensate.
Hai palpato
i cammini divini aperti dai fiumi di questo vasto corpo.
Hai aperto
fessure, ferite,
sempre e sempre più avido,
creatura affamata.
Non ho potuto neanche dirti addio.
Oggi arrivi e mi uccidi.
Ricordi?
Non ricordi.
… e chi ti ha partorita sono io.
A heresia de Eva
Assobiam ditos.
Ditos do rio íntimo
adensado.
É este o sangue que me torna
mulher?
Se me despir
e dispo,
se me despedir
e despeço,
de tudo de todos
e se empurrar
derrubo
a porta do «paraíso».
Ditos virgens.
No ventre levo casa, vila,
cidade, mundo, tudo,
todos o Universo.
E nada levo.
Eu, a criadora!
Invoco a fêmea,
a criatura.
Aqueduto de águas,
boca solta,
em verão húmido e ensolarado.
Ditos da mulher,
mitos e narrativas.
Ditos não ditos
sobre os deltas
vivos, infindáveis.
Assim,
semeando óvulos
pelo
espaço,
pelas
órbitas onde germinam
outras fêmeas e outros ventres,
nascentes intocadas.
Rias que se adensam
caindo como chuva na epiderme do Sol,
benzendo o portal de luz.
O astro descamba
no leito onde crescem as raízes.
Faz-se chama.
Na vala noturna irrompe a lua,
febril e circular.
Pelos túneis do meu corpo térreo
recolho a límpida seiva
em minhas garras de madrepérola.
Bebe-a o meu jardim.
Não existe nada que «devesse ser».
É isso que não sou:
a Terra imitando o Sol.
Ditos meus
não cedem ao rumor do desespero
do passar do tempo.
Ditos não ditos.
Ditos bíblicos
Ditos escritos na névoa das constelações.
L’eresia di Eva
Fischiano detti.
Detti del fiume intimo
addensato.
È questo il sangue che mi rende
donna?
Se mi spoglio
e mi spoglio,
se mi congedo
e mi congedo,
da tutto da tutti
e se spingo
abbatto
la porta del «paradiso».
Detti vergini.
Nel ventre porto casa, paese,
città, mondo, tutto,
tutti l’Universo.
E niente mi resta.
Io, la creatrice!
Invoco la femmina,
la creatura.
Acquedotto di acque,
bocca sciolta,
nell’estate umida e soleggiata.
Detti di donna,
miti e narrazioni.
Detti non detti
sui delta
vivi, interminabili.
Così,
seminando ovuli
attraverso
spazio,
attraverso
orbite dove germinano
altre femmine e altri ventri,
sorgenti intoccate.
Foci che si addensano
cadendo come pioggia sull’epidermide del Sole,
benedicendo il portale di luce.
L’astro s’inclina
sul letto in cui crescono le radici.
Diventa fiamma.
Nella fossa notturna irrompe la luna,
febbrile e circolare.
Attraverso i tunnel del mio corpo terroso
raccolgo la limpida linfa
nei miei artigli di madreperla.
La beve il mio giardino.
Non esiste nulla che «dovrebbe essere».
È questo che non sono:
la Terra imitando il Sole.
Detti miei
non cedete al rumore di disperazione
del passare del tempo.
Detti non detti.
Detti biblici.
Detti scritti nella nebbia delle costellazioni.